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lunedì 30 dicembre 2013

Buon anno!

A tutti voi, che durante l'anno che sta per terminare, siete stati una gradita presenza in questo blog, il mio più sincero augurio di

martedì 24 dicembre 2013

Buon Natale!

A tutte le amiche e gli amici blogger 
auguro con  tutto il cuore
un Natale di pace e serenità


sabato 21 dicembre 2013

Filastrocche e acquerelli: I regali

E con  dicembre termina la serie dei dodici acquerelli di Mariarita Brunazzi, che mi ero QUI ripromessa di presentarvi nel corso dell'anno, insieme alle mie filastrocche.

Mariarita ed io ci auguriamo di avervi piacevolmente fatto compagnia con questa specie di "calendario" illustrato, dedicato alle peculiarità più rilevanti di ognuno dei 12 mesi.

In tema con il periodo natalizio, la filastrocca e l'acquerello di dicembre sono dedicati a:


I regali

Sotto l’albero lucente
di festoni e lumicini
tutti stanno allegramente
fra pacchetti e pacchettini.

Splendon gli occhi dei bambini
che si chiedono chissà
se la loro letterina
Babbo Natale letta avrà.

Poi con impazienti mani
strappan carte, lacci e fiocchi
e felici a tutti mostran
i loro nuovi balocchi.



© Castellani Carla
(Krilù)



I regali

Acquerello della pittrice naif
Mariarita Brunazzi

martedì 17 dicembre 2013

E mi Nadêl d'na vôlta

Abbagliati, come siamo tutti, dallo sfavillio delle vetrine natalizie e presi nel vortice degli acquisti per regali, strenne e cenoni, mi sorprendo a rimpiangere sempre più i Natali della mia infanzia, quando questa ricorrenza aveva un significato molto più mistico e molto meno spendereccio (anche perché soldi da spendere ce n'erano davvero pochi ...) e le tradizioni popolari avevano ancora un loro profondo significato.

Nella campagna della mia infanzia era ancora del tutto sconosciuto l'uso dello scambio di doni natalizi e degli addobbi esterni. Il Natale, che non era ancora la festa del consumismo, si celebrava con molto rispetto sia verso l'evento religioso in sé che verso le tradizioni popolari che osservavano ancora i loro arcaici riti.

Si faceva il presepe con le statuine di gesso colorato un po' sbrecciate, la cometa di cartone verniciata d'argento, il muschio raccolto lungo i fossi e una spolveratina di farina a simulare la neve.
Per fare l'albero di Natale non si utilizzava l'abete (che non c'erano abeti dalle nostre parti) ma il ginepro "rubato" in pineta e addobbato con qualche pallina di vetro colorato e stelle filanti luccicanti, ma più che altro con caramelle e boeri e con arance e mandarini, frutti allora abbastanza infrequenti sulle nostre tavole e quindi apprezzati come speciali leccornie.
Nel giorno che precedeva il Natale tutti, anche coloro che non erano particolarmente legato ai dettami della religione, "facevano vigilia" rispettando rigorosamente la regola di mangiare di magro.
La tavola ben imbandita era riservata al pranzo di Natale, quando tutta la famiglia vestita a festa, dopo essere stata alla S. Messa, si riuniva intorno al desco apparecchiato con la tovaglia fresca di bucato e con le stoviglie "buone".

Il menù natalizio era molto più ricco del solito: un buon brodo di gallina vecchia o, per chi poteva, di cappone, dove venivano cucinati i caplèt (i cappelletti) che l'azdòra (la massaia), coadiuvata dalle altre donne di casa e dai bambini più grandicelli, aveva preparato il giorno prima.
Veniva poi servito il lesso, accompagnato da patate bollite e altre verdure cotte. Sulle tavole delle famiglie più abbienti seguiva anche un arrosto, di pollo o altro animale da cortile, con contorno di patate arrosto.

Panettoni o pandori non ne avevo mai visti, finché adolescente non mi sono trasferita in città; i nostri dolci erano i soliti dolci romagnoli della tradizione: zamblòn (ciambellone), zucarèn (zuccherini ovvero biscotti di pasta frolla), grustê (crostata con marmellata fatta in casa), past sechi (scroccadenti), sopa inglesa (zuppa inglese). Un dolce speciale riservato al Natale era e' pân d' Nadêl (il pane di Natale) una sorta di panpepato molto speziato con fichi , mandorle e noci, che si appiccicava ai denti. Ma non crediate mica che ci fossero tutti insieme questi dolci! no... no... o l'uno o l'altro.

Ai bambini della mia generazione a scuola la maestra faceva scrivere la "letterina di Natale", piena di promesse e di buoni propositi per il futuro, che poi nascondevano sotto il piatto del papà il quale trovandola manifestava piacere e sorpresa e regalava loro qualche soldino.

Intanto, a cominciare dal giorno della vigilia, nel camino ardeva e' zoc d' Nadêl (il ciocco di Natale) che più era grande e meglio era, dovendo bruciare fino all'Epifania. La tradizione di bruciare il ceppo natalizio si ricollega alla tradizione pagana che attribuiva al ceppo bruciato nei giorni del solstizio invernale poteri magici di fertilità, abbondanza, fecondità, ed era proprio per propiziare buoni raccolti che i suoi resti venivano poi sparsi nei campi.

martedì 10 dicembre 2013

Filastrocche e acquerelli: Le caldarroste

Come avete visto sono stata, per molto tempo, totalmente assente e questo mi ha impedito di pubblicare a tempo debito la filastrocca di novembre con il relativo acquerello di Mariarita Brunazzi, come QUI mi ero ripromessa di fare nel corso dell'anno.
Ma, essendo arrivata quasi al termine della serie, non vorrei interrompermi proprio ad un passo dalla fine, quindi vi propongo anche la penultima tappa del calendario, dedicata a:


Le caldarroste

Nell’aria frizzantina
che accompagna il mio andare
di vetrina in vetrina
sul Corso a passeggiare

mi giunge un buon odore
che sa di nostalgia,
di dolcezza e calore,
d’infanzia e di magia.

Che sarà che ha destato
emozioni nascoste?
Ma certo ... c’è il vecchietto
che vende caldarroste!.


© Castellani Carla
(Krilù)



Le caldarroste

Acquerello della pittrice naif
Mariarita Brunazzi

giovedì 5 dicembre 2013

2013: un anno disastroso



Comossa per il vostro interessamento, da cui mi sento affettuosamente circondata, ritengo doveroso da parte mia (anche perché me lo avete chiesto in molti) raccontarvi le ultime vicissitudini che mi hanno tenuta lontana da questo nostro mondo virtuale.
Forse ricorderete che avevo concluso il mio post del 3 ottobre con questa frase: « (...) perché "l'uomo propone ma Dio dispone", perciò chi vivrà vedrà".»
Ebbene, mai frase doveva rivelarsi tanto profetica ...

Come avevo brevemente riassunto nel suddetto post, questo 2013 è stato per me un anno disastroso sotto diversi aspetti ma ... è proprio vero che al peggio non c'è limite! e certo non potevo immaginare che per aver banalmente inciampato in uno zerbino dovessi subire conseguenze tanto catastrofiche.

Riassumendo, nella caduta avevo battuto violentemente il capo in una fioriera e l'impatto mi aveva causato una vasta lacerazione al padiglione auricolare per cui sono occorsi un sacco di punti, oltre a trauma cranico e distorsione cervicale, nonché diversi traumi in tutta la parte destra del corpo (torace, ginocchio, mano) dove però non vennero riscontrate fratture. Dopo un ricovero di 24 ore in osservazione sono stata dimessa e sono rimasta in paziente e fiduciosa attesa di miglioramenti, ma nonostante ce la stessi mettendo tutta per rimettermi in piedi, consapevole che la ripresa dovesse dipendere anche dalla mia volontà, i dolori aumentavano in modo lancinante, interessando ora anche la parte sinistra del torace.
Anche una ulteriore radiografia alle costole di sinistra non rilevava fratture, ma col passare dei giorni il dolore al torace stava ormai diventando intollerabile, così mi sono di nuovo rivolta al Pronto Soccorso dove una radiografia, stavolta alla colonna vertebrale rivelava la frattura di due vertebre dorsali. Così ho passato 30 lunghi giorni immobile nel letto, sempre distesa sul dorso, ingabbiata dentro un busto rigido di alluminio, a fissare il soffitto della mia stanza, (che altro non mi era dato vedere). Da qualche giorno, dopo una radiografia di controllo da cui è emerso che le fratture si sono stabilizzate, nonostante persista un certo dolore, posso anche alzarmi un poco, ma sempre ingabbiata dentro la mia scomodissima corazza metallica che spero ardentemente a Natale potrò definitivamente abbandonare. Ma sicuramente, dopo tanta immobilità, ci vorrà del tempo prima che possa rimettermi del tutto in forze.

Purtroppo da tanto tempo non mi è possibile seguire i vostri blog e sicuramente altro ne passerà prima che possa riprendere le mie abituali frequentazioni, perché è molto disagevole per me stare alzata e soprattutto stare al PC, ma sappiate che siete stati sempre tutti nei miei pensieri. E sempre lo sarete.

Lascio un caro abbraccio a tutti voi che mi avete dato tanto conforto facendomi sentire il calore della vostra presenza.

lunedì 2 dicembre 2013

Prendere la vita con ironia

La zirudela (in italiano zirudella) è un tipico componimento scherzoso in versi, in dialetto romagnolo, caratterizzata da versi ottonari in rima baciata, suddivisi in quartine.
Benché venga considerata un genere di poesia "minore" rappresenta un gradevole modo di affrontare gli eventi della vita prendendo le cose con ironia.

Confesso che il mio verseggiare, anche quando si esprime in dialetto romagnolo, non è che sia molto orientato verso un tipo di composizione "brillante", ma anche se non è il mio genere preferito, un paio di volte mi ci sono provata anch'io.
Recentemente  ho partecipato al Concorso di zirudelle "La vita con ironia" - anno 2013 - indetto dalla Pro-Loco di Bagnacavallo con questa mia zirudela, per la verità non molto aderente allo schema metrico della zirudella, che però è stata selezionata fra le venti migliori  presentate al concorso, per essere premiate nel corso di una serata e pubblicate in un apposito volumetto.



SUPARSTIZION


Jèsu!  S’aràl mai da zuzèdar
che stanot l’à cantê la zveta so int la ca.

L’azdòra, che d’la Rumâgna
la cnos toti agli usânz
e dal superstizion un gn-in scapa ona
cun ste pinsir ch’ u j frola par la tësta
la s’ da da fê in cusena:
la prapêra e’ sufret
la tira la sfoja
e pu la fa i strichet

mo cun ste pinsir dla zveta
l’è un pô distrata
e la met do vôlt
e sêl int la pignata.

La zveta, la pureta
sa vut ch’la sepa li
che cun la su cantêda
la s’ areb fat magnê
l’amnëstra trop salêda!


Traduzione:
Gesù! che succederà mai/ che stanotte ha cantato la civetta sul tetto!// La massaia che della Romagna/ conosce tutte le usanze/ e crede a tutte le superstizioni/ con questo pensiero che le frulla in testa/ s’affaccenda in cucina:/ prepara il soffritto/ fa la sfoglia/ e poi fa gli strichetti// ma con questo pensiero della civetta/ è un po’ distratta/ e mette due volte/ il sale nella pentola.// La civetta, poveretta/ che poteva saperne lei/ che con il suo canto/ ci avrebbe fatto mangiare/ la minestra troppo salata
!