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venerdì 25 dicembre 2015

Buon Natale a tutti voi

In questi giorni pre-festivi non ho fatto altro che correre dal supermercato alla cucina per le preparazioni mangerecce e dalla cucina al PC per inoltrare o ricambiare gli auguri natalizi agli amici.

Oddio ... correre è una parola grossa, e lo potrebbero testimoniare coloro che mi hanno vista arrancare fra le corsie del supermercato, aggrappata al deambulatore, ma a quanto pare ormai ce l'ho fatta, e anche se sono esausta,  il frigorifero trabocca di cose buone, in attesa di riunire la mia famiglia attorno al desco natalizio. 

Quanto agli auguri ... ho fatto del mio meglio per rispondere a tutti gli amici, sia su FB che nei blog che frequento ma sicuramente, travolta in un bailamme di auguri, ho un po' perso la trebisonda e sicuramente ci saranno amici che li hanno ricevuti doppi o tripli o anche più ed altri che non li hanno ricevuti per nulla.
Per farmi perdonare, ripeto qui per tutti

i miei più fervidi auguri di trascorrere
un felice Natale in piena serenità
insieme a coloro che vi portate nel cuore.



mercoledì 16 dicembre 2015

"Natale de guera" di Trilussa


L'atmosfera festosa, o forse dovrei dire festevole (festevole= propria della festa), quasi che a Natale sia un obbligo esserne pervasi, in stridente contrasto con gli scenari di  guerra, che funestano gran parte del globo terracqueo, mi ha fatto pensare a questa amara poesia che il celebre poeta romanesco Trilussa scrisse nel 1916.



NATALE DE GUERA


Ammalappena che s'è fatto giorno
la prima luce è entrata ne la stalla
e er Bambinello s'è guardato intorno.
- Che freddo, mamma mia! Chi m'aripara?
Che freddo, mamma mia! Chi m'ariscalla?
- Fijo, la legna è diventata rara
e costa troppo cara pè compralla...
- E l'asinello mio dov'è finito?
- Trasporta la mitraja
sur campo de battaja: è requisito.
- Er bove? - Pure quello…
fu mannato ar macello.
- Ma li Re Maggi arriveno?
- E' impossibbile
perchè nun c'è la stella che li guida;
la stella nun vò uscì: poco se fida
pè paura de quarche diriggibbile...-
Er Bambinello ha chiesto:- Indove stanno
tutti li campagnoli che l'antr'anno
portaveno la robba ne la grotta?
Nun c'è neppuro un sacco de polenta,
nemmanco una frocella de ricotta...
- Fijo, li campagnoli stanno in guerra,
tutti ar campo e combatteno. La mano
che seminava er grano
e che serviva pè vangà la terra
adesso viè addoprata unicamente
per ammazzà la gente...
Guarda, laggiù, li lampi
de li bombardamenti!
Li senti, Dio ce scampi,
li quattrocentoventi
che spaccheno li campi?-
Ner dì così la Madre der Signore
s'è stretta er Fijo ar core
e s'è asciugata l'occhi cò le fasce.
Una lagrima amara pè chi nasce,
una lagrima dòrce pè chi more...



(Trilussa)


mercoledì 9 dicembre 2015

Cartoline di auguri


In occasione delle festività di Natale e Capodanno c'è forse qualcuno fra voi che abbia ancora l'abitudine di spedire cartoline o bigliettini di auguri? Oppure vi capita ancora di riceverne?
Non credo, o almeno a me da tanti anni non succede più.


Adesso ce la sbrighiamo con una telefonata, un sms o una e-mail, ma io vi confesso che ho un po' di nostalgia delle cartoline di un tempo.
Era una bella e piacevole usanza, così come erano belle e festose le immagini in esse raffigurate.


Ricordo, quando ero una bambina, come scegliere e scrivere le cartoline di auguri in occasione delle festività fosse un vero rito e un bell'impegno.

Innanzitutto occorreva preparare un elenco dei destinatari, parenti e amici vicini o lontani che fossero, facendo attenzione a non dimenticare nessuno, perché tutti dovevano ricevere i loro auguri, perfino le amichette con cui giocavo ogni giorno e alle quali sarebbe stato tanto più semplice fare gli auguri a voce.

Poi andavo in tabaccheria per l'acquisto dei francobolli e per una ponderata scelta delle cartoline, le più belle e colorate, meglio ancora se con i lustrini "sbriluccicosi", e mai una uguale all'altra.

Infine, elenco alla mano, scrivevo in bella calligrafia gli indirizzi e le frasi di augurio, cercando di differire il testo in modo che ognuno avesse i suoi auguri personalizzati, senza considerare il fatto che se gli zii di Rimini avessero ricevuto le stesse parole o la stessa cartolina degli zii di Ravenna non avrebbe fatto alcuna differenza.

Poi alle normali cartoline subentrarono i più eleganti bigliettini chiusi nella loro busta, ma per me il rito non cambiò, tranne che il costo dei francobolli è andato via via sempre aumentando negli anni e adesso  spedire per posta un considerevole numero di auguri è diventato alquanto dispendioso.

Sarà per questo che siamo passati allo squillo telefonico, alla e-mail e al messaggino?

sabato 5 dicembre 2015

Era il 5 dicembre 1945

Quella lunga, tragica guerra era finalmente finita ma, a distanza di 8 mesi dalla completa Liberazione dell'Italia, anche il territorio ravennate recava ancora le tracce delle devastazioni causate dai bombardamenti alleati, e le mine piazzate dai tedeschi in ritirata rendevano estremamente pericoloso avventurarsi nei campi incolti. Il bestiame era stato razziato dai tedeschi, le strade erano dissestate e le case sbrecciate o ridotte ad ammassi di macerie.
Benché la città di Ravenna già dal 4 dicembre 1944 fosse stata liberata dai partigiani, che avevano preceduto di qualche ora le truppe canadesi, il fronte si era fermato per tutto l'inverno sulla linea del fiume Senio. Solo ad aprile l'incubo era definitivamente cessato, e tutta la Romagna era stata liberata, come il resto d'Italia.

Carlo, detto Carluccio, aveva 44 anni e 6 figli di età compresa fra i 22 e gli 11 anni. Viveva con la sua numerosa famiglia in una casa colonica nella campagna a nord di Ravenna e ora che un altro inverno era alle porte la sua casa portava ancora gli squarci delle granate che avevano ucciso uno dei suoi fratelli. La maggiore dei suoi figli stava per renderlo nonno e, con una creaturina in arrivo, occorreva provvedere al più presto almeno alle riparazioni più indispensabili.
Quel giorno - era il 5 dicembre 1945 - Carluccio attaccò la somara al barroccio e si diresse alla volta di Alfonsine per prendere un carico di mattoni dalla fornace.

Sul far della sera un boato squarciò il silenzio della campagna e la sua vecchia madre, che nell'aia stava dando il becchime al pollame, si portò le mani sulla testa esclamando "pôr fiôl!" (povero figlio), perché, come tutti, conosceva bene il significato dei sinistri scoppi che ogni tanto laceravano l'aria facendo gelare il sangue nelle vene.
Quello che invece ancora non sapeva era che quel "pôr fiôl" dilaniato da una mina era il suo figliolo. Il secondo figlio che la guerra le portava via nel giro di un anno.

Circa tre settimane più tardi, in una famiglia devastata dal lutto, nasceva quella sua nipotina che Carluccio mai avrebbe conosciuto e che, in sua memoria, fu chiamata Carla.