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mercoledì 28 novembre 2012

Ciao, amico mio

Ieri ho perduto un caro amico.  Se n'è andato così ... all'improvviso. E la notizia mi è arrivata addosso come una doccia gelata.


Ciao Giancarlo, amico mio generoso e sincero. Con tutto il mio rimpianto  accompagno il tuo viaggio con le parole di questa struggente canzone, che sembra scritta apposta per te.


L'arcobaleno

Io son partito poi così d'improvviso
che non ho avuto il tempo di salutare
istante breve ma ancora più breve
se c'è una luce che trafigge il tuo cuore
L'arcobaleno è il mio messaggio d'amore
può darsi un giorno ti riesca a toccare
con i colori si può cancellare
il più avvilente e desolante squallore

Son diventato sai il tramonto di sera
e parlo come le foglie d'aprile
e vivrò dentro ad ogni voce sincera
e con gli uccelli vivo il canto sottile
e il mio discorso più bello e più denso
esprime con il silenzio il suo senso

Io quante cose non avevo capito
che sono chiare come stelle cadenti
e devo dirti che è un piacere infinito
portare queste mie valige pesanti

Mi manchi tanto amico caro davvero
e tante cose son rimaste da dire
ascolta sempre e solo musica vera
e cerca sempre se puoi di capire

Son diventato sai il tramonto di sera
e parlo come le foglie d'aprile
e vivrò dentro ad ogni voce sincera
e con gli uccelli vivo il canto sottile
e il mio discorso più bello e più denso
esprime con il silenzio il suo senso

Mi manchi tanto amico caro davvero
e tante cose son rimaste da dire
ascolta sempre e solo musica vera
e cerca sempre se puoi di capire
ascolta sempre e solo musica vera
e cerca sempre se puoi di capire.


Aggiornamento del 2 dicembre 2012
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Ieri c'è stato il suo funerale (per problemi burocratici un po' ritardato rispetto alla norma) e pur nell'angoscia dell'evento, sono rimasta piacevolmente colpita e profondamente commossa per la grande partecipazione dei miei concittadini alle esequie di quest'uomo a dir poco originale e dalla poliedrica personalità che, avendo perduto da anni i suoi affetti familiari, aveva fatto della "gente" la sua famiglia.

Qui uno dei tanti articoli apparsi in questi giorni sul Web e sulla stampa cittadina, a testimonianza del rimpianto che il Prof. Giancarlo ha lasciato in tutti coloro che lo avevano conosciuto.

Nei commenti all'articolo di cui sopra, così anch'io l'ho ricordato:
Giancarlo lo conobbi nel 2001, quando acquisì una quota nel nostro capanno da pesca sull'United River (come lo chiamava lui). Poiché lì ci veniva ogni giorno, per accudire alla colonia felina presente intorno al capanno e, in seguito, anche alle papere da lui introdotte, ebbi modo di trascorrere intere giornate in sua compagnia e posso dire che non sempre era l’ironico, spaccone e confusionario personaggio che voleva apparire esteriormente. In tante ore passate a discorrere in riva al fiume, spogliatosi del suo "pittoresco" aspetto esteriore, mi si era rivelato come una persona dotata di profonda sensibilità umana e di grande intelligenza e cultura, un amico sincero, generoso e sempre disponibile. Io lo chiamavo, scherzosamente ma con tenerezza, "il mio amico matto", lui mi chiamava affettuosamente Carli'.
Ciao Giancarlo, mi mancherai davvero tanto. Ora andare al capanno senza trovarti lì ad accoglierci con calore o senza vederti arrivare, carico di sportine piene di cibo per gatti e papere, non sarà mai più la stessa cosa.

domenica 25 novembre 2012

Santa Caterina fra culto, iconografia e tradizione

Il 25 Novembre il calendario liturgico ricorda  Santa Caterina d'Alessandria, vergine e martire, appartenente al gruppo dei quattordici santi ausiliatori e con Barbara, Margherita e Dorotea, alle Quattuor Virgines Capitales.


Santa Caterina d'Alessandria - Raffaello Sanzio


Come racconta la  Legenda Aurea scritta nel  XIII secolo da Jacopo da Varagine, Caterina era una bellissima  fanciulla di origine regale, filosofa di grande sapienza e di grande eloquenza, vissuta ad Alessandria d'Egitto fra il 287 e il  305 d.C., che si oppose all'imperatore Massimino Daia  crudele tiranno che governava l'Egitto e la Siria e che osteggiava la liberalizzazione del cristianesimo, imponendo ai suoi sudditi  sacrifici agli dei.
L'imperatore, invaghitosi della bellissima giovane, che lo aveva affrontato invitandolo a convertirsi,   convocò 50 filosofi affinché la convincessero a sacrificare agli dei ma fu invece Caterina con la sua eloquenza a convertire loro  al cristianesimo.
I filosofi furono tutti giustiziati e Caterina venne fustigata, affamata  e imprigionata. Anche la moglie dell'imperatore che, scortata da 200 soldati, la visitò in prigione  fu da Caterina convertita al cristianesimo con tutta la sua scorta e tutti, per ordine dell'imperatore, vennero giustiziati.
Massimino la blandì in ogni modo offrendole anche il matrimonio e il ruolo di prima dama della corte ma essendosi dimostrata Caterina irremovibile ordinò che fosse sottoposta al supplizio delle ruote. Ma le quattro ruote uncinate che dovevano straziarne il  corpo,  miracolosamente si frantumarono non appena toccarono le sue tenere carni. Infine venne decapitata con la spada e gli angeli ne trasportarono il corpo sul Monte Sinai dove l'imperatore cristiano Giustiniano fece edificare  un monastero a lei dedicato.


Santa Caterina d'Alessandria - Correggio


L'iconografia di Santa Caterina d'Alessandria è straordinariamente ricca e con uno o più di questi simboli fu raffigurata da pittori e scultori  dal XIV secolo in poi:
la corona e la veste o manto di porpora, simboli di regalità;
il libro, come segno della sua sapienza;
la spada e la ruota o un frammento di ruota,  simboli del suo martirio;
l'anello a simboleggiare le nozze mistiche con Gesù;
la palma del martirio.

Proclamata patrona della facoltà di teologia dell'Università di Parigi, è considerata protettrice dei filosofi, degli studenti,  dei mugnai e di tutti coloro che hanno a che fare con le ruote, delle ragazze da marito, delle modiste e delle sartine che da lei prendono il nome di "caterinette".


Santa Caterina d'Alessandria - Barbara Longhi


 
In un intreccio fra storia e leggenda, l'assenza di notizie certe sulla sua vita ha fatto dubitare della  reale esistenza di questa Santa, (talvolta confusa o identificata  con Ipazia, illustre filosofa, astronoma e matematica pagana anche lei vissuta ad Alessandria d'Egitto e uccisa nel 415 d.C.  da una folla di cristiani in tumulto),  tanto che la Chiesa  con la riforma del calendario liturgico del 1969 la escluse dal Martirologio,  fino al 2002 quando la  vastissima devozione di cui questa Santa  è fatta oggetto in tutta Europa fece sì che venisse reinserita.


Santa Caterina d'Alessandria - Caravaggio


Per la devozione verso Santa Caterina d'Alessandria, anche nel calendario della tradizione popolare romagnola il 25 novembre è una data che ha una certa rilevanza, legata  com'è a fiere, usanze e proverbi.

Da Sânta Catarena a Nadêl u j è un mes uguêl.
(Da Santa Caterina a Natale c'è un mese esatto).
E da qui cominciava una specie di conto alla rovescia, con quello che veniva definito "l'esercizio dei tredici Pater di Santa Caterina" per cui ogni sera fino a Natale le donne si riunivano per recitare 13 volte il Pater rivolgendosi a Santa Caterina con una particolare invocazione, (di cui non ricordo il testo in dialetto), per ottenere da lei una grazia.

Par Sânta Catarena o ch’ e’ piov o ch’ e’ neva o ch’ e’ brena o ch’ e’ tira la curena o ch’ uj è la paciarena.
 (Per Santa Caterina o piove o nevica o brina o tira il libeccio o c’è la fanghiglia).
Secondo la tradizione popolare esistevano solo due stagioni importanti, la bella stagione e la brutta stagione, non avendo le stagioni intermedie  alcuna rilevanza. Si considerava perciò che l''inverno avesse inizio il 25 novembre nel giorno di Santa Caterina d'Alessandria  e avesse termine il 25 marzo nel giorno di Santa Caterina da Siena.

Un mes dnenz  Nadêl e un mes dop Nadêl l’è l’inveran naturêl.
(Un mese prima di Natale e un mese dopo Natale è l'inverno naturale).
Si riteneva che il cuore dell'inverno fosse racchiuso nel periodo che va da un mese prima di Natale (25 novembre S. Caterina) a un mese dopo Natale ( 25 gennaio San Paolo).

Par Sânta Catarena tira fura la fascena.
(Per Santa Caterina tira fuori la fascina).
Era solo a partire dal giorno di Santa Caterina  che venivano accese le stufe negli uffici pubblici e nelle scuole.

Par Sânta Catarena la bes-cia int la cascena.
(Per Santa Caterina la bestia nella cascina).
I contadini che avevano bestiame al pascolo entro questa data lo riportavano nelle stalle, al riparo dai rigori invernali.

Par Sânta Catarena impines e' sac dla farena.
(Per Santa Caterina riempi il sacco della farina).
perché si portava il grano al mulino, in modo da avere disponibilità  di farina per l'inverno.


Caterina tra i filosofi - Masolino da Panicale

Nella "Fiera di Santa Caterina", che continua tuttora a tenersi nella città di Forlì, come ogni anno si rinnova l'antica tradizione del torrone da regalare alle donne maritate.
Il poeta romagnolo Aldo Spallicci in una sua poesia del 1922 così ricorda i dolcetti che per tradizione venivano offerti ai bambini:
Par Sânta Catarena e gal e la galena, la bëla bambuzena, turon d'amandurla; pianzì burdel s' avlì di brazadel. 
(Per Santa Caterina il gallo e la gallina, la bella bambolina, torrone di mandorle; piangete bambini se volete le ciambelline.)
C'è però da puntualizzare che, mentre l'antica tradizione che vede i mariti offrire il torrone alle proprie mogli è diffusa in tutta la Romagna, la tradizione di regalare biscotti di pastafrolla a forma di galletto per i maschietti e di bambolina (caterina) per le bambine è limitata alla sola città di Ravenna e le vetrine di tutti i fornai del centro in questo periodo ne fanno bella mostra.

Anch'io quando avevo i figli piccoli facevo per loro i tradizionali biscotti,  secondo questa ricetta:
500 grammi di farina
100 grammi di burro fuso
200 grammi di zucchero
due uova intere
lievito per dolci
un po' di scorza di limone grattugiata
codette di cioccolata o perline di zucchero colorate, per decorare
Dopo aver impastato il tutto si fa riposare in frigorifero per una ventina di minuti poi si stende l'impasto col matterello  ad uno spessore di circa un cm. 
Con la punta di un coltello si ritagliano dei biscotti a forma di galletto e/o bambolina (avendo degli stampini con queste forme, tanto meglio), si decorano a piacere (possono anche essere ricoperti di cioccolato) e si cuociono in forno a 180°.



Da dove tragga origine questa tradizione dei biscotti ravennati e della loro forma non è dato sapere per certo, anche se svariate ipotesi, in cui non intendo qui addentrarmi, vengono avanzate dagli studiosi di folklore.
Pare comunque che il dono, offerto in questo giorno d'inizio inverno, figuri come augurio e promessa di rinnovamento della natura una volta giunti alla fine della stagione buia, stante che il gallo è simbolo di risveglio e la forma femminile simbolo di fecondità.



giovedì 22 novembre 2012

Ci sono... non ci sono...

Come qualcuno avrà forse notato, in questo mese di novembre non sono stata molto presente ed è probabile che ancora continui a non esserlo per un po'.

I motivi di questa mia involontaria defezione sono molteplici:
in primo luogo il mio assai precario stato di salute ed i continui impegni per visite ed accertamenti ad esso legati;
poi il PC che mi ha creato numerosi impedimenti che vanno  dall'impossibilità di connettermi  a causa della linea telefonica ballerina, al famigerato virus della  Polizia di Stato che anch'io come tanti mi sono beccata;
infine l'amarezza per un increscioso episodio,  che a qualcuno non è sfuggito, ma che non voglio qui rivangare per non rintuzzare ulteriormente il livore espresso da un determinato individuo.
Se ne faccio cenno è solo per ringraziare di tutto cuore le amiche e gli amici che pubblicamente o in privato mi hanno espresso la loro solidarietà e vicinanza.

Nel poco tempo che in questo periodo sono riuscita a dedicare al PC ho preferito privilegiare  soprattutto le visite ai vostri blog, anziché la pubblicazione dei miei post, anche se qualcuno ce l'ho già pronto in bozza e quindi prima o poi qualcosa pubblicherò.




Questa è la mia Phalaenopsis nuovamente rifiorita (qualcuno dice per merito del mio pollice verde, io dico invece per il suo impegno e  la sua buona volontà), di cui faccio virtualmente omaggio, con simpatia e affetto,  a tutti coloro che mi sono vicini.

♥ ♥ ♥


venerdì 16 novembre 2012

Foto d'autore: Tina Modotti


Assunta Adelaide Luigia Modotti, meglio nota come Tina Modotti,  oltre che   fotografa di fama internazionale fu anche donna di grande bellezza e,   in quanto antifascista militante nel movimento comunista internazionale, perseguitata ed esule politica.
La sua avventurosa vita,  iniziata in una famiglia operaia di idee socialiste, a Borgo Pracchiuso (UD)  nel 1896 e conclusasi a  Città del Messico  nel 1942 la vide  operaia a 12 anni, emigrante con la famiglia negli Stati Uniti nel 1913, attrice del cinema muto ad Hollywood nel 1920, fotografa nel Messico degli anni '20, combattente in Spagna nel 1936. 
Apprese i primi elementi di fotografia dallo zio Pietro Modotti  ed affinò poi quella sensibilità  e capacità artistica che la condusse alle più alte vette dell'arte fotografica, accanto al  fotografo Edward Weston a cui per un certo periodo fu sentimentalmente legata.
Le sue opere spaziano dalla natura (fiori e piante), ai ritratti, ad opere di emblematico significato sociale e politico.

      


Calle (1925)



Rose (1927)


Donna di Tehuantepec (1928)



Mani di operaio con badile (1926)



Sombrero (1927)



Falce, pannocchia e cartuccera (1928)

lunedì 12 novembre 2012

Hanno detto: sui sogni

 I "sogni" non sono solamente un fenomeno legato alla fase REM del sonno.
Infatti chi di noi può proclamarsi indenne dall'aver sognato anche ad occhi aperti?

E gli illustri personaggi di cui riporto alcun citazioni, proprio in quest'ultima direzione hanno focalizzato il loro pensiero.



✿ Fai della tua vita un sogno e di questo sogno una realtà.
(Antoine-Marie Roger de Saint-Exupery)

✿ La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.
(Arthur Schopenhauer)

✿ Chi sogna di giorno conosce molte cose che sfuggono a chi sogna solo di notte.
(Edgar Allan Poe)

✿ Il potere dei sogni ha il sopravvento sulla vita di una persona riuscendo a guidarla verso sentieri mai battuti prima.
(Romano Battaglia)


✿ Un uomo diventa vecchio quando i suoi rimpianti prendono il posto dei suoi sogni.
(John Barrymore)

✿ I sogni non sempre si realizzano, ma non perché siano troppo grandi o impossibili, perché noi smettiamo di crederci.
(Martin Luther King)

✿ Ho sognato nella mia vita, sogni che son rimasti sempre con me, e che hanno cambiato le mie idee; son passati attraverso il tempo e attraverso di me, come il vino attraverso l'acqua, ed hanno alterato il colore della mia mente.
(Emily Bronte)

✿ Ognuno di noi ha un paio d’ali, ma solo chi sogna impara a volare.
(Jim Morrison)

✿ La speranza è un sogno ad occhi aperti.
(Aristotele)

✿ Certi uomini vedono le cose come sono e dicono: perché? Io sogno cose mai esistite e dico: perché no?
(George Bernard Shaw)

domenica 11 novembre 2012

Premio Simplicity



Ringrazio infinitamente la dolcissima Paola del blog  Mondo di Paola   per avermi offerto il Premio Simplicity.
Come sempre accade nell'assegnazione degli award, anche questo premio ha le sue regole:
1) rispondere alla domanda "Che cos'è la semplicità?"
2) dedicare un' immagine a chi ha donato il premio.
3) donare il premio a 12 blogger.

Regola n. 1)
Secondo me la semplicità consiste nell'essere sempre sé stessi, senza orpelli e senza voler apparire diversi da come  si è nella realtà.

Regola n. 2)
Questa è l'immagine che, con affetto,  dedico alla cara Paola, fatina dalle mani d'oro e dal cuore generoso, con l'augurio che il suo cielo sia sempre pieno di stelle.




Regola n. 3)
Troppo arduo per me effettuare la scelta di 12 blog perciò, come sempre faccio, anche questa volta assegno questo premio virtuale a tutti voi, con un caloroso invito a prelevarlo e a fregiarvene, come se vi avessi nominati personalmente.


sabato 10 novembre 2012

Tre uomini in barca (per non parlar del cane)

Questo divertente romanzo, pubblicato  nel 1889, è diventato ormai un classico della letteratura inglese e la vena di umorismo e satira che lo pervade dall'inizio alla fine, lo rende nel suo genere insuperabile.

Titolo: Tre uomini in barca (per non parlar del cane)

Autore: Jerome K. Jerome

Anno di prima pubblicazione: 1889


Può accadere in alcune edizioni italiane di trovare come titolo "Tre uomini in barca (per tacere del cane)" ma è comunque lo stesso romanzo.


Trama:
Per sfuggire allo stress della vita di Londra, tre amici, Jerome, Harris e George, insieme al fox-terrier Montmorency, viaggiano per giorni sul Tamigi, a bordo di una piccola imbarcazione a remi, vivendo sempre nuove e inattese avventure. Un viaggio costellato da una serie di gag comiche sulle gioie e sui dolori della vita in barca, unite a divertenti divagazioni che costituiscono storie a sé stanti, nel miglior stile dello humour inglese e realistiche descrizioni delle regioni attraversate.

E' un romanzo che trasmette buonumore ad ogni riga e si presta veramente per una lettura leggera e divertente e nello stesso tempo ricca di notizie e nozioni.
Anche se è molto probabile che lo abbiate già letto ai tempi della scuola (molte scuole lo proponevano agli studenti) sarà senz’altro una felice riscoperta. Per me è stato così.
 Se poi non avete voglia di comperarlo o di andarlo a cercare in Biblioteca, qui potete trovarlo in ebook.



L'autore:
Jerome Klapka Jerome scrittore e umorista inglese, nacque a Walsall il 2 maggio 1859 e morì a Northampton il 14 giugno 1927. Insegnante, attore e infine giornalista, esordì con due volumi: "I pensieri oziosi di un ozioso" (1886) e il notissimo "Tre uomini in barca (per non parlar del cane)" (1889), che gli procurarono una fama immediata, mettendo in luce le qualità che fanno di lui uno fra i maggiori umoristi inglesi: spontaneità, brio, inventiva, uniti ad una profonda sensibilità psicologica.
Dal 1892 al 1897 pubblicò con Robert Barr la rivista "The Idler" che ebbe notevole successo.
 Alla sua produzione di vena umoristica appartengono inoltre un volume di racconti dal titolo "Narrato dopo cena" (1890); "Tre uomini a zonzo" (1890) divertente resoconto di un viaggio in Germania di tre impiegati londinesi; "Paul Kelver" (1902) un romanzo autobiografico; "Tommy e compagni" (1904); "Loro e io" (1909).
Le opere successive rivelano un mutamento nello spirito dello scrittore che, scosso dagli orrori della prima guerra mondiale, abbandonò la vena umoristica per affrontare temi politici e sociali. Tra queste opere improntate ad uno spirito umanitario e a una critica severa della società del suo tempo sono: "Le vie del calvario" (1919) e un volume di ricordi "La mia vita e il mio tempo" (1926).
Scrisse anche opere teatrali che ebbero minor risonanza e delle quali la più nota è "Il passaggio al terzo piano verso corte" (1907).

Fonte delle notizie sull'autore: Enciclopedia Rizzoli Larousse






domenica 4 novembre 2012

La teoria del cucchiaio

Ritorno a sedermi davanti al PC dopo una settimana di assenza, ghermita dal mio "lupaccio" che mi ha doviziosamente elargito diffusi lancinanti dolori e una spossatezza difficile da descrivere.
Sono queste le situazioni che talvolta mi mettono in notevole imbarazzo, dovendo all'ultimo momento cancellare impegni già presi quando non addirittura dovervi rinunciare a priori, e per chi mi conosce solo superficialmente, o per chi non conosce affatto il Lupus Eritematoso Sistemico, è difficile comprendere quando sia subdola e debilitante questa malattia.

Alcuni anni fa, girovagando sul Web, ho trovato la testimonianza di una ragazza americana affetta da Lupus che cercava di spiegare con un esempio pratico il suo disagiato stato d'essere.
E di questa sua testimonianza, che lei ha chiamato "LA TEORIA DEL CUCCHIAIO" talvolta mi avvalgo anch'io per meglio far comprendere ai miei interlocutori le  difficoltà che mi affliggono e la ragione di certi miei comportamenti.
Una teoria che riporto qui di seguito, perché può essere interessante per tutti, dato che non è applicabile solo al Lupus ma è utile per meglio comprendere qualunque altra malattia debilitante o disabilità.




La Teoria del Cucchiaio
by Christine Miserandino



La mia migliore amica ed io eravamo nella sala da pranzo (dell’università) a parlare. Come di consueto era molto tardi e stavamo mangiando patatine fritte con salsa. Come delle normali ragazze della nostra età passavamo un sacco di tempo nella sala da pranzo, mentre eravamo all’università, e la maggior parte del tempo lo passavamo a parlare di ragazzi, musica o cose banali, che sembravano molto importanti al momento. Non parlavamo mai di cose serie e si trascorreva la maggior parte del nostro tempo a ridere.

Mentre mi accingevo a prendere alcune delle mie medicine con uno snack, come facevo di solito, lei mi ha fissato in modo imbarazzante invece di continuare la conversazione. Poi mi ha chiesto, tutto d’un tratto, come ci si sentiva ad avere il Lupus e ad essere malati. E’ stato sconvolgente, non solo per la domanda, ma anche perché pensavo lei sapesse tutto ciò che c’era da sapere sul Lupus. Era venuta dai medici con me, mi aveva visto camminare con il bastone e vomitare in bagno. Mi aveva visto piangere dal dolore, che cosa c'era da sapere in più?

Ho iniziato a rispondere in modo vago parlando di pillole, dolori, mali, ma lei continuava e non sembrava soddisfatta delle mie risposte. Sono rimasta un po' sorpresa: come mia compagna di stanza al college e amica da anni, pensavo che già conoscesse la definizione medica di Lupus. Poi mi guardò con una faccia che ogni malato conosce bene, il volto della pura curiosità su qualcosa che nessuna persona sana può veramente capire. Mi ha chiesto che cosa si sentiva, non fisicamente, ma quello che sentivo ad essere me, ad essere malata.

Mentre cercavo di rimanere composta, mi guardavo attorno per un aiuto, o una guida, o almeno per guadagnare un po’ di tempo per pensare. Cercavo di trovare le parole giuste. Come facevo a rispondere a una domanda a cui non ero mai riuscita a trovare la risposta per me stessa? Come facevo a spiegare ogni dettaglio di ogni giorno trascorso da malato, trasmettere con chiarezza le emozioni che una persona malata prova. Avrei potuto rinunciare, cavarmela con una battuta come di solito avevo già fatto e cambiare discorso, ma ricordo che ho pensato: se non provo a spiegare tutto ciò, come posso poi aspettarmi che lei capisca. Se non riesco a spiegare questo alla mia migliore amica, come posso spiegare il mio mondo a chiunque altro? Dovevo almeno tentare, ed è in quel momento che nacque la teoria del cucchiaio.

Rapidamente presi ogni cucchiaio che c’era sul tavolo e ne presi altri che erano su altri tavoli. La guardai negli occhi, le diedi i cucchiai e le dissi: “OK, tu hai il Lupus” .Lei mi guardò un po' confusa come chiunque avrebbe fatto vedendosi consegnare un mazzo di cucchiai. I freddi cucchiai di metallo risuonarono nelle mie mani quando li raggruppai insieme e li misi nelle sue mani.

Le spiegai che la differenza tra essere malato ed essere sano è di dover fare delle scelte e pensare in maniera consapevole a cose cui il resto del mondo non deve pensare. I sani hanno il lusso di una vita senza certe scelte, un dono che la maggior parte della gente dà per scontato.

La maggior parte delle persone iniziano la giornata con un numero illimitato di possibilità e l'energia per fare ciò che desiderano, in particolare i giovani. Non devono preoccuparsi degli effetti delle loro azioni. Così, per la mia spiegazione, usai i cucchiai per farle capire questo punto. Volevo qualcosa che lei potesse possedere, avere in maniera concreta, per avere poi la possibilità di toglierglielo, in quanto la maggior parte delle persone che si ammalano sentono la "perdita" di una vita che una volta avevano conosciuto. Se fossi stata in grado di toglierle i cucchiai, poi lei avrebbe capito come ci si sente quando qualcuno, o qualcosa, in questo caso il Lupus, ha il controllo di te.

Afferrò i cucchiai con entusiasmo, non capiva esattamente cosa stessi facendo ma, siccome è sempre pronta per qualcosa di divertente, penso si aspettasse che le stessi facendo una sorta di scherzo o qualcosa del genere, visto che così faccio quando parliamo di argomenti delicati. Non sapeva quanto io invece facessi seriamente.

Le chiesi di contare i cucchiai. Mi chiese perché, e le dissi che quando si è sani ci si aspetta di avere una infinita quantità di “cucchiai”. Ma quando,come ora, devi programmare il tuo giorno, è necessario sapere esattamente con quanti "cucchiai" si inizia la giornata. Questo non garantisce che non se ne potrebbero perdere alcuni lungo la strada, ma almeno aiuta a sapere da dove stai partendo. Contò 12 cucchiai. Rise. Mi disse che ne voleva di più.Le dissi di no e, quando mi guardò con disappunto, sapevo che questo piccolo gioco avrebbe funzionato, e non avevamo ancora iniziato. Io ho voluto più "cucchiai" per anni e non ho ancora trovato un modo per ottenerne di più, perché avrei dovuto dargliene di più? Le dissi anche di essere sempre consapevole di quanti ne aveva, e di non perderli, perché non può mai scordarsi che ha il Lupus.

Le ho chiesto di elencare tutte le cose che fa durante il giorno, comprese le più semplici. Come ha iniziato a elencarmi per esempio le faccende domestiche, o semplicemente cose divertenti da fare; le ho spiegato come ciascuna le sarebbe costata un cucchiaio. Quando ad esempio, come prima cosa del mattino, ha iniziato a prepararsi per andare al lavoro, l’ho fermata e le ho tolto un cucchiaio. Le sono praticamente saltata addosso e le ho detto: "No! Non puoi semplicemente alzarti! Devi aprire gli occhi e renderti conto che sei in ritardo. La notte prima hai dormito male. Devi scendere lentamente dal letto, e poi devi prepararti qualcosa da mangiare prima di poter fare qualsiasi altra cosa, perché se non mangi poi non puoi prendere le medicine, e se non prendi le medicine potresti anche dover rinunciare a tutti i tuoi cucchiai di oggi e anche di domani ". Le ho subito preso un cucchiaio e ha realizzato che non si era ancora vestita. Fare la doccia le è costato un altro cucchiaio, semplicemente per lavarsi i capelli e depilarsi le gambe. Avere alti e bassi così presto al mattino potrebbe costare anche più di un cucchiaio, ma ho pensato di darle una pausa, non ho voluto spaventarla troppo. Per vestirsi è servito un altro cucchiaio. L’ho fermata e le ho fatto smettere ogni cosa, facendola riflettere su come dovesse fare attenzione ad ogni piccolo dettaglio. Non si può semplicemente mettersi i primi vestiti che ti capitano quando si è ammalati. Le ho spiegato che io devo vedere quali sono i vestiti che posso mettere fisicamente quel giorno, se le mani mi fanno male quel giorno, di vestiti con i bottoni non se ne parla neanche. Se ho dei lividi quel giorno, ho bisogno di indossare maniche lunghe, e se ho la febbre ho bisogno di un maglione per stare calda, e così via. Se i capelli cadono ho bisogno di dedicargli più tempo per essere presentabile, e poi hai bisogno di 5 minuti perché ti senti male che ti sono servite 2 ore per fare tutto questo.

Credo che stesse iniziando a capire: non era neanche arrivata al lavoro che le erano rimasti solo 6 cucchiai. Le ho poi spiegato che aveva bisogno di scegliere cosa fare nel resto della giornata con saggezza, dal momento che quando i "cucchiai" sono andati, sono andati. A volte puoi prendere in prestito "cucchiai" dal domani, ma pensa a come sarà difficile domani con meno "cucchiai". Ho anche avuto bisogno di spiegarle che una persona che è malata vive sempre con l'incombente pensiero che domani può essere il giorno che ti viene un raffreddore o una infezione, o un qualsiasi numero di cose che potrebbero essere molto pericolose. Quindi non vuoi rimanere con pochi "cucchiai", perché non si sa mai quando ne avrai veramente bisogno. Non volevo deprimerla, ma avevo bisogno di essere realista, e purtroppo essere preparati per il peggio è parte di ogni mio vero e proprio giorno.

Abbiamo analizzato il resto della giornata, e lentamente ha appreso che saltare il pranzo le sarebbe costato un cucchiaio, come pure stare in piedi sul treno, o anche scrivere troppo a lungo al computer. E’ stata costretta a fare delle scelte e di pensare le cose in modo diverso. Ha dovuto scegliere di non eseguire commissioni, in modo da poter essere in grado di cenare.

Quando siamo arrivati alla fine della sua ipotetica giornata, ha detto che aveva fame. Le dissi che doveva cenare, ma anche che le era rimasto solo un cucchiaio . Se avesse cucinato, non avrebbe avuto abbastanza energie per lavare i piatti e le pentole. Se fosse andata fuori a cena, sarebbe potuta essere troppo stanca per guidare in sicurezza fino a casa. Poi le ho anche spiegato che non avevo aggiunto a questo gioco che alla fine della giornata era così stanca e con senso di nausea che di cucinare non se ne parlava neanche. Così ha deciso di farsi una zuppa, è stato facile. Ho poi detto: sono solo le 7, hai il resto della serata, e probabilmente ti è rimasto un cucchiaio, così puoi fare qualcosa di divertente, o pulire l’appartamento, o fare altre faccende, ma non puoi fare tutto.

Raramente l’avevo vista emozionata, così quando l’ho vista turbata sapevo che forse stavo toccando qualcosa dentro di lei. Io non volevo che la mia amica fosse sconvolta, ma allo stesso tempo ero felice di pensare che finalmente, forse, qualcuno mi aveva un po’ capito. Aveva le lacrime agli occhi, mi ha chiesto a bassa voce "Christine, come riesci a farlo? Veramente fai questo ogni giorno?" Ho spiegato che alcuni giorni erano peggio di altri, altri giorni avevo più cucchiai. Ma non potrò mai farlo andare via e non posso mai dimenticarmi di lui(Lupus), devo sempre pensarci. Le ho allungato un cucchiaio che avevo tenuto come riserva. Le ho detto semplicemente: "Ho imparato a vivere la vita con un cucchiaio in più in tasca, come riserva. È necessario essere sempre pronti".

E’ dura, la cosa più difficile che ho dovuto imparare è di dovere rallentare, e non fare tutto. Lotto per questo ogni giorno. Odio questa sensazione di dover scegliere di stare a casa, o di non fare le cose che vorrei fare. Volevo che sentisse quella frustrazione. Volevo che capisse, che tutto quello che ogni persona fa in modo assolutamente facile, per me sono cento piccoli lavori in uno. Devo pensare a che tempo fa, se quel giorno ho la febbre, e pianificare tutta la giornata prima di iniziare a fare una cosa. Quando le altre persone semplicemente fanno le cose, io devo come attaccarle, e fare un piano come se dovessi preparare una strategia di guerra. E’ in questo stile di vita, in questo modo di vivere la vita, la differenza tra essere malati ed essere sani. E’ la bellezza di avere l’abilità semplicemente di non dover pensare, di fare e basta. Mi manca quella libertà. Mi manca il non dover mai contare i “cucchiai”.

Dopo esserci entrambe emozionate ed aver parlato di tutto questo ancora un po’, ho sentito che era triste. Forse aveva finalmente capito. Forse aveva solo realizzato che lei non poteva veramente capire. Ma almeno adesso non si sarebbe lamentata così tanto quando alcune sere non posso andare fuori a cena, o quando non riesco ad andare a prenderla a casa e deve sempre essere lei a venire in macchina a casa mia. L’ho abbracciata quando siamo usciti dalla sala pranzo. Avevo quel cucchiaio in mano e le ho detto "Non ti preoccupare. Io vedo questo come una benedizione. Sono stata costretta a pensare a tutto ciò che faccio Sai quanti cucchiai le persone sprecano ogni giorno? Io non posso permettermi di perdere tempo, o sprecare "cucchiai", e ho scelto di trascorrere questo tempo con te”.

Da quella notte ho usato la teoria del cucchiaio per spiegare la mia vita a molte persone. Infatti la mia famiglia e i miei amici parlano di cucchiai per tutto il tempo. E' una parola in codice per quello che posso e non posso fare. Una volta che la gente capisce la teoria del cucchiaio, sembra capire meglio anche me, ma penso anche che poi vivono la loro vita in modo un po' diverso. Credo che questa teoria non sia valida solo per comprendere il Lupus, ma per capire chiunque abbia una malattia o una disabilità. Spero che le persone non diano per scontate tutte queste cose, e la stessa loro vita in generale. Io do’ un pezzo di me, nel vero senso della parola, quando faccio qualsiasi cosa. E’ diventato come un gioco dentro di me. Sono diventata famosa per dire alla gente, scherzosamente, che dovrebbero sentirsi speciali quando passo del tempo con loro, perché hanno uno dei miei "cucchiai". 

 




sabato 3 novembre 2012

Un poeta da ricordare: Pier Paolo Pasolini




Un poeta da ricordare:

Pier Paolo Pasolini
(Bologna, 5 marzo 1922 -
Ostia, 2 novembre 1975)



Una poesia da non dimenticare:


Supplica a mia madre
(Da: Poesia in forma di rosa

E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.

Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l'unico modo per sentire la vita,
l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile.




Pier Paolo Pasolini bambino
insieme alla madre Susanna Colussi