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venerdì 30 ottobre 2015

Verso Halloween. Qualcosa che vale la pena di sapere.

In merito alla tanto discussa Festa di Halloween, che ormai da tempo ha preso piede anche in Italia e vede un acceso dibattito fra detrattori ed estimatori di questa celebrazione considerata d'importazione, ho letto e riporto dalla pagina Facebook di Eraldo Baldini, autore insieme a Giuseppe Bellosi del saggio "Halloween. Origine, significato e tradizione di una festa antica anche in Italia", queste dotte considerazioni che forse vale la pena di conoscere:


"" È in libreria, dopo nove anni dalla prima edizione per Einaudi, che ebbe grande successo e non tardò ad esaurirsi, il corposo saggio (332 pagine) pubblicato dalla Società Editrice Il Ponte Vecchio che Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi dedicano alla festa di Halloween in Italia, intitolato "Halloween. Origine, significato e tradizione di una festa antica anche in Italia". Un libro che, prendendo in esame, grazie ad una ricerca accuratissima, le tradizioni di tutto il territorio nazionale, si pone l’obiettivo di dimostrare che questa celebrazione, ritenuta erroneamente nata altrove ed estranea alla nostra cultura popolare, ha in realtà in Europa e anche da noi la propria origine. Ne spiega inoltra la genesi, le forme e i significati, oltre che il percorso del suo “ritorno” in grande stile nel nostro Paese. La nuova edizione è aggiornata e leggermente ampliata rispetto a quella del 2006.

Per tornare ai contenuti del volume, è innegabile che la festa di Halloween abbia preso fortemente piede anche in Italia, tanto da proporsi oggi, soprattutto per le nuove generazioni, come uno degli appuntamenti più attesi dell’anno. Bambini mascherati che girano per le case a gridare il loro Dolcetto o scherzetto?, feste nei locali pubblici e nei centri piccoli e grandi, vetrine a tema, zucche intagliate: tutti gli elementi di questa celebrazione ci sono sempre più familiari e stanno, per molti, diventando irrinunciabili. Ciò non ha mancato e non manca di suscitare un dibattito che vede da una parte i favorevoli, dall’altra coloro che storcono la bocca davanti a una festa ritenuta importata, estranea alle nostre tradizioni, quindi da noi fuori luogo, frutto di imitazione e foriera esclusivamente di consumismo o, peggio, di valori negativi. Ora, se è vero che il boom odierno è senza dubbio dovuto a suggestioni cinematografiche, televisive e letterarie provenienti da oltreoceano, oltre che a sapienti campagne pubblicitarie, è altrettanto vero (ma non a tutti noto) che nel folklore delle regioni italiane, nei giorni che vanno dalla vigilia di Ognissanti, cioè dal 31 ottobre, a quello di San Martino, 11 novembre, legati in un continuum celebrativo, sono da tempo immemorabile presenti, o lo erano almeno fino ai primi del Novecento, tutti gli elementi costitutivi della festa. E questo da ben prima che la Chiesa, nel medioevo, cristianizzasse tali arcaiche ricorrenze riservate al culto dei defunti, dedicando il 1° novembre a Tutti i Santi e più tardi il 2 novembre ai Morti. Dalle Alpi alla Sicilia, pur se con diversa intensità da un’area all’altra, troviamo (o trovavamo) in abbondanza in quelle date riti di accoglienza per i defunti, questue di bambini o di poveri nelle case, dolci tradizionali dal nome macabro (come ad esempio ossa di morto), zucche intagliate, cene e libagioni, pratiche divinatorie, racconti terrificanti. Questo a dimostrazione del fatto che il bagaglio tradizionale della festa ha non solo, come è ovvio, derivazione europea, ma anche una larghissima diffusione, che supera (e certamente precede) i contributi della cultura celtica a cui è normalmente attribuito. Ma vediamo nel dettaglio alcuni degli elementi concettuali e formali della celebrazione. Innanzitutto quelli denotanti che tale momento del calendario era stato, in qualche epoca o in particolari zone, un vero e proprio capodanno, e ovunque e sempre un importantissimo spartiacque calendariale collocato nel tempo in cui finiscono tutti i raccolti e si riparte con le semine. Ce lo dimostrano vari usi civili e giuridici tradizionali come la scadenza dei fitti e dei contratti colonici; e poi l’uso delle strenne, delle divinazioni, e soprattutto la credenza in un corale “ritorno dei morti”. A questa sono legate le forme celebrative più note ed evidenti. Se in occasione di Halloween i bambini girano a chiedere dolci, mascherati in modo orrifico per impersonare le creature dell’aldilà, un tempo in molte regioni italiane in quei giorni, similmente, bambini e poveri, simbolicamente vicari dei morti stessi, questuavano e a volte lo facevano mascherati, in una chiara rappresentazione dei defunti. Anche senza travestimento, comunque, conducevano la questua esplicitando di farla in nome dei trapassati. Erano largamente praticate anche forme di questua passiva tramite offerte di cibi, di pranzi, di regali: ad esempio in Sicilia e altrove (zone della Puglia, ecc.) erano proprio i Morti, nella notte tra 1 e 2 novembre, a portare i doni ai più piccoli, e non, come accadeva altrove in altra data, la Befana o Gesù Bambino o, più tardi, Babbo Natale. Un corredo tipico della festa odierna sono le zucche svuotate e intagliate a rappresentare un teschio. Anche questa usanza, tra Ognissanti e San Martino, era diffusa in molte località nostrane, e ben prima che fosse introdotta negli Stati Uniti dagli immigrati europei. In Lombardia tali zucche erano molto diffuse e chiamate lumere, in aree del Trentino-Alto Adige nella notte dei Morti si addobbavano i cimiteri con lumini ricavati da gusci di lumaca, mentre al centro del camposanto si poneva una zucca intagliata. Zucche sulle tombe sono testimoniate anche in Friuli-Venezia Giulia. In Veneto venivano messe negli angoli dei paesi o venivano portate in giro da bambini schiamazzanti. In Liguria gruppi di giovani portavano zucche in processione, in Emilia e in Romagna erano collocate nei crocicchi, su muretti, tra le siepi o sui davanzali. In Abruzzo e Molise, soprattutto nella Valle Peligna, a Sulmona ecc., dove queste tradizioni non sono mai scomparse rimanendo vivissime, i ragazzi dipingevano scheletri e teschi sulle porte, si accendevano roghi propiziatori e difensivi nelle piazze e i bambini questuavano portando con sé zucche intagliate illuminate dall’interno. L’uso delle zucche è testimoniato nel folklore della Puglia, dove venivano chiamate coccie priatorje (teste del purgatorio), in quello della Calabria, dove venivano portate dai bambini questuanti, in quello della Sardegna, dove le questue infantili erano diffusissime. Nella celebrazione contemporanea, altro corollario dell’evento sono i riferimenti a un clima di paura, ovviamente stemperato nella finzione e nella fiction vera e propria. C’è dunque l’abitudine di guardare film horror, di allestire addobbi che vogliono far rabbrividire. In passato, quando era diffusissima la credenza nella possibilità che schiere di defunti potessero, in questo periodo, irrompere nella dimensione terrena, tali timori si materializzavano in tradizioni e credenze riguardanti processioni e messe dei morti e, in genere, in una loro fitta e libera circolazione, sia nelle forme più temute sia in quella mitico-rituale che prevedeva il bonario ritorno degli Antenati nelle loro case e le conseguenti pratiche di accoglienza nei loro confronti. In larga parte dell’Italia si pensava che nella notte tra 1 e 2 novembre, o in quella precedente, inquietanti cortei di defunti attraversassero gli abitati; e guai ad incontrarli, per cui si rimaneva chiusi nelle abitazioni. Ancora più diffuso era l’uso di lasciare nelle case, proprio per il ristoro e il riposo dei trapassati, cibi, bevande, il fuoco acceso e i letti puliti e rifatti: premure non sempre ritenute sufficienti a evitare la pericolosità e il timore insiti in tali visite. E a proposito di timori, erano diffusissimi i racconti terrificanti legati alla presenza temporanea dei morti, così come lo erano le precauzioni al riguardo. Solo per fare un esempio: i pescatori delle coste marchigiane, toscane, abruzzesi, pugliesi, nella notte dei Morti non uscivano alla pesca, convinti che le reti si sarebbero riempite solo di ossa umane e di teschi. Oggi intorno alla questua dei bambini e al clima horror si muove un’atmosfera di festa, che si concretizza in cene con amici, in serate a tema nei locali e nelle piazze, eccetera. Anche in passato, soprattutto alla chiusura del periodo celebrativo, cioè per San Martino, la baldoria era di rigore con tutti i suoi aspetti formali e alimentari. Per concludere, questa “nuova festa”, che è riuscita nel giro di pochi anni a conquistare il nostro Paese con una rapidità e una capacità di penetrazione impensabili, in verità di nuovo ha ben poco: anche se il suo odierno successo deriva da un punto lontano più nello spazio che nel tempo, non si può non osservare che essa finisce per essere, da noi, nient’altro che una ripresa di tradizioni antiche che si erano abbandonate, dimenticate o in qualche modo snaturate.
L’odierna impronta consumistica della ricorrenza nulla può togliere a questo dato di fatto. Chi grida allo scandalo, asserendo che la celebrazione di Halloween nulla avrebbe a che fare con le nostre tradizioni, non è dunque nel giusto. Perché, come abbiamo visto, per forme e significati essa è in realtà unita da fili robustissimi al nostro passato e pure a un contesto folklorico del presente (in alcune zone d’Italia le ritualità a cui facciamo riferimento non si erano mai interrotte). Occorre poi mettere l’accento su una cosa: oggi i bambini e i giovanissimi del nostro Paese si sono entusiasticamente appropriati (o meglio riappropriati) di tale festa, e in questo modo sono tornati ad essere protagonisti di una celebrazione folklorico-rituale dopo che, per vari motivi, non avevano quasi più l’abitudine di essere al centro delle questua della mattina di Capodanno, del clima magico dell’Epifania, di forme vive e sentite del Carnevale. Semmai, sarebbe bello e utile aggiungere al loro entusiasmo e al loro divertimento anche una maggiore consapevolezza rispetto a ciò che stanno facendo e rappresentando. Una consapevolezza che questo libro può restituire, con la serietà e l’accuratezza di una grande, lunga e paziente ricerca e di una seria e approfondita analisi""


lunedì 26 ottobre 2015

La mia torta di mele



Di ricette per fare la torta di mele ce n'è davvero a iosa e fra Internet, libri di cucina, programmi TV non c'è che l'imbarazzo della scelta.
Ricette per torta di mele con o senza uova, con o senza burro, con o senza latte, più o meno alta, più o meno soffice; manca solo che ci venga proposta la ricetta per fare la torta di mele ... senza mele.

Nel corso dei decenni ne ho provate veramente tante (praticamente tutte quelle che mi sono capitate sotto gli occhi) ma la torta di mele che trova il maggiore apprezzamento in famiglia, da anni resta sempre la stessa, così ho smesso di fare prove su prove e resto fedele alla mia vecchia ricetta, che è la seguente:



TORTA DI MELE

Occorrente:

Kg.1 di mele sbucciate e liberate dal torsolo
g. 300 di farina
g. 200 di zucchero
g.150 di burro
buccia grattugiata di un limone
1 bustina di lievito per dolci
2 uova intere

Preparazione:

Mescolare il burro ammorbidito con lo zucchero.
Aggiungere la farina, le uova, la buccia grattugiata di limone, il lievito.
Tagliare a fettine le mele (della qualità che preferite) e unirle all'impasto, mescolando bene il tutto.
Imburrare una teglia da forno spolverizzare di farina, versarvi l’impasto e cuocere in forno a calore moderato per circa 45 minuti.
(Io uso una teglia rettangolare così l'impasto si stende meglio e non si ammucchia al centro).
Si serve con una spolveratina di zucchero a velo.


L'autunno mi sembra la stagione migliore per fare questa torta, visto che ci sono le mele appena raccolte, e ultimamente ne ho fatto una tutti i week end, per quando i miei ragazzi vengono a cena.
Ne ho fatta una anche ieri sera e francamente mi aspettavo che dicessero: "Ancoooraaa?", così mi sono scusata anticipatamente, assicurandoli che la prossima volta avrei cambiato tipo di dolce.
E invece no, tutti mi hanno raccomandato di continuare con la torta di mele, che gli piace proprio tanto!

mercoledì 14 ottobre 2015

Un poeta da ricordare: Guido Gozzano


Un poeta da ricordare:

Guido Gozzano

Torino, 19 dicembre 1883 - Torino 9 Agosto 1916



Una poesia da non dimenticare:


L'assenza

Un bacio. Ed è lungi. Dispare
giù in fondo, là dove si perde
la strada boschiva, che pare
un gran corridoio nel verde.

Risalgo qui dove dianzi
vestiva il bell'abito grigio:
rivedo l'uncino, i romanzi
ed ogni sottile vestigio...

Mi piego al balcone. Abbandono
la gota sopra la ringhiera.
E non sono triste. Non sono
più triste. Ritorna stasera.

E intorno declina l'estate.
E sopra un geranio vermiglio,
fremendo le ali caudate
si libra un enorme Papilio...

L'azzurro infinito del giorno
è come seta ben tesa;
ma sulla serena distesa
la luna già pensa al ritorno.

Lo stagno risplende. Si tace
la rana. Ma guizza un bagliore
d'acceso smeraldo, di brace
azzurra: il martin pescatore...

E non son triste. Ma sono
stupito se guardo il giardino...
stupito di che? non mi sono
sentito mai tanto bambino...

Stupito di che? Delle cose.
I fiori mi paiono strani:
Ci sono pur sempre le rose,
ci sono pur sempre i gerani...

(Da: I colloqui - 1911)



Claude Monet
Rosai nel giardino degli Hoschedé a Montgeron, 1877

domenica 11 ottobre 2015

La guerra di Mariulì - bambina negli anni Quaranta

Ho desiderato parlarvi di questo libro, fin dal momento stesso in cui ho terminato di leggerlo; fin da quando  l'ho ricevuto in dono, fresco di stampa, proprio dalle mani della mia carissima amica Maria Lasi, la Mariulì protagonista di questa storia.
Ma come ben sanno i miei amici blogger che da tempo mi seguono, la salute non sempre mi asssite e spesso, mio malgrado, mi tiene lontana da queste pagine, e in questi ultimi anni ciò è accaduto assai di frequente.
Ora mi sono imposta di riprendere i fili del mio blog e di parlarvi finalmente di questo libro, emozionante e interessante. Emozionante per i ricordi di vita di una piccola bambina travolta dalla guerra, ed interessante per la disamina del periodo storico che ne fa l'autrice.



Titolo:
LA GUERRA DI MARIULI'
bambina negli anni Quaranta

Autore:
Anna Paola Moretti (con la testimonianza di Maria Lasi)

Editore:
Società Editrice "Il Ponte Vecchio" Cesena - 2012

L'autrice, Anna Paola Moretti, ricercatrice di memorie storiche femminili specialmente legate al periodo della  guerra, ha raccolto la testimonianza di Maria Lasi, inserendola con la competenza della storica in un contesto storiografico-geografico e socio-politico.

Maria Lasi racconta con occhi ed emozioni di bambina gli anni difficili della sua infanzia in guerra e quelli del primo dopoguerra, nelle campagne romgnole, nei territori tagliati dalla Linea Gotica, sulla riva del fiume Senio.
Il suo racconto, pensato inizialmente per la ristretta cerchia familiare dei figli e dei nipoti, ha in realtà una valenza più generale. La sua vita di bambina e di donna che non vuole rinunciare a sé, pur in mezzo a grandi difficoltà, è una lente per accostarci alla storia, che è sempre fatta di vite di gente comune; la sua memoria è un ponte per pensare anche al nostro presente. Testimone che ha attraversato la guerra armata, ma anche quella più sottile e altrettanto micidiale che attenta alla libertà di una donna.

L'Autrice:
Anna Paola Moretti è nata e vive a Pesaro, con radici familiari nel Montefeltro. Laureata in filosofia, é tra le fondatrici dell’associazione Casa delle donne di Pesaro, dove ha curato l'organizzazione di seminari e corsi di aggiornamento per docenti. Collabora con l’Istituto di Storia Contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino (ISCOP), in particolare sulle memorie della deportazione femminile.
E' co-autrice con Maria Grazia Battistoni, Rita Giomprini e Mirella Moretti, del libro "La deportazione femminile. Incontro con Irene Kriwcenko. Da Kharkov a Pesaro una storia in relazione", edito nel 2010 dal Consiglio Regionale delle Marche.

La protagonista:
Maria Lasi è nata nel 1939 a Castel Bolognese (RA) e dal 1957 vive a Ravenna. Tutta la vita ha lavorato come operaia ed è all'università della vita che ha parzialmente soddisfatto la sua inesauribile sete di sapere. Raggiunta la pensione ha frequentato corsi di scrittura poetica presso l'Università per Adulti "Bosi Maramotti" di Ravenna. Ha partecipato a letture poetiche di suoi testi ed è stata invitata nelle scuole per parlare agli alunni delle sue esperienze di vita nell'infanzia, nel periodo cruciale della guerra, indicando ai giovani l'imprescindibile necessità di un cammino di pace.
E' co-autrice insieme alle altre otto poetesse facenti parte della "Società Poetica Arte della lingua materna" di Ravenna dell'antologia poetica "La lingua che ci accade", pubblicata nel 2010 per i tipi della Casa Editrice Il Ponte Vecchio di Cesena.


giovedì 8 ottobre 2015

La lunga estate calda

Finalmente anche questa torrida estate 2015 è terminata. Sono consapevole che non tutti condividono questo mio pensiero: gli amanti del caldo a oltranza, del sole cocente, dell'abbronzatura, della vita di spiaggia e del mare già rimpiangono l'estate e fremono impazienti nell' attesa del suo ritorno.
Ma poiché per me l'estate rappresenta un ulteriore peggioramento al mio già disastrato stato di salute, permettetemi di rallegrarmi per queste prime giornate autunnali e per questo temporaneo senso di sollievo che mi permette finalmente di riaffacciarmi nel mondo Blogger da cui manco da tanto, troppo tempo.

Prima di accingermi a scrivere questo post ho fatto un breve excursus in queste mie pagine prendendo coscienza di quanto io sia stata lungamente assente (appena 15 post in questi 9 mesi del 2015 sono davvero pochini).
Ho anche voluto rileggere tutti i miei post sotto l'etichetta "Momenti di vita", che raccontano i momenti peggiori di questi 5 anni della mia militanza da blogger ed ho riflettuto sul fatto che forse sarebbe stato preferibile che mi fossi arresa già tempo fa, senza incaponirmi a voler mantenere in vita un blog sull'orlo del collasso. Ma che volete farci, io il mio blog l'ho amato tanto e non so rassegnarmi a sopprimerlo volontariamente.
Probabilmente si estinguerà per consunzione naturale per mancanza di lettori, perché ho rilevato che diversi fra i blogger che mi seguivano e che io seguivo, o hanno chiuso definitivamente i battenti o hanno sospeso le pubblicazioni da settimane, mesi o addirittura anni.

Ora, pur consapevole che ad ogni assenza si paga sempre un certo prezzo in termini di perdita di lettori, ho deciso di riprovarci: con una "flebo" di parole di tanto in tanto spero di riuscire a mantenerlo in vita, questo mio blog.


Concludendo, ritengo doveroso scusarmi con coloro che hanno lasciato commenti ai miei post dei mesi precedenti, senza ricevere da me alcun riscontro: Vi ringrazio e vi assicuro che li ho letti tutti i vostri commenti, pur non avendo avuto, nella mia apatia, la forza di rispondere.
Mi auguro di riuscire in futuro ad essere più presente non solo nel mio ma anche sui vostri blog.