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giovedì 30 gennaio 2014

Il melo

Dopo i due post precedenti chiudo con questo racconto un quaderno pieno zeppo di parole e di ricordi.
Tante parole in versi e in prosa, scritte nel corso di una cinquantina d'anni. Ricordi di un'amicizia troncata da un tragico evento che ha segnato in maniera indelebile il corso della mia vita.



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IL MELO


Il melo, addossato alla recinzione dell'orto, allungava i suoi rami sull'angolo meno calpestato del cortile dove l'erba, libera di crescere, formava un verde tappeto. Sedute a terra, sotto la sua ombra, stavano due bimbe. Era quello il loro luogo preferito e, da sempre, il melo aveva assistito ai loro giochi, alle piccole baruffe, alle subitanee riappacificazioni.
Quell'amicizia, nata e cresciuta con loro, le legava di un vincolo fraterno e -  ne erano certe - indissolubile.
La più giovane, leggermente più alta della sua compagna, aveva morbidi capelli castani e grandi occhi tristi, di cerbiatta spaurita. L'altra bimba aveva riccioli ribelli, di un caldo colore dorato, e occhi ridenti illuminavano la sua espressione sbarazzina.
Troppo piccole per frequentare la scuola, condividevano giochi, infanzia e mentine di zucchero, mentre il melo, come un benefico nume tutelare, presiedeva le loro giornate. Vestito in primavera di tenui fiori bianco-rosati, vedeva arrivare le sue piccole amiche ebbre di voglia di correre e rotolarsi nell'erba, dopo la forzata segregazione invernale, e le salutava con una pioggia di petali bianchi.
Indossava poi un verde manto, lucido e scuro, fra cui occhieggiavano i grossi pomi avviati a maturazione, ed accoglieva nell'abbraccio della sua ombra le due bimbe accaldate e ansanti, che crollavano sull'erba, stanche di corse e di giochi, offrendo loro il refrigerio dei suoi frutti succosi, anche se ancora asprigni.
In autunno, dopo la raccolta delle mele che finivano accatastate in dispensa, si spogliava lentamente delle foglie ormai brune ed accartocciate, e si rattristava perché sapeva che i rigori dell'inverno l'avrebbero privato della quotidiana presenza delle sue piccole amiche. Fino al ritorno della primavera non sarebbe stata più la sua ombra, ma il calore delle grosse stufe a legna delle rispettive cucine, ad accogliere i giochi delle due bimbe.
La stagione fredda lo trovava con i rami nudi, inutilmente protesi a proteggere la magra erba invernale, e lo adornava di un prezioso abito di brina. Ora il melo riceveva solo qualche fuggevole visita dalle sue protette che, con le ginocchia e le guance arrossate e rese ruvide dal freddo, si affacciavano frettolose alla recinzione che separava i loro cortili, per confidarsi urgenti segreti.

Le stagioni si susseguivano ed il tempo passava anche per le due bimbe, che ora andavano a scuola. Il melo le vedeva passare la mattina presto col grembiulino bianco e la cartella a tracolla e, nella bella stagione, aspettava con impazienza il pomeriggio quando, finiti i compiti lo avrebbero raggiunto per leggere o giocare sotto la sua chioma.

E ancora le stagioni si susseguivano e il tempo passava. Ora sotto il melo sedevano due adolescenti e le confidenze che sottovoce si scambiavano avevano per solo argomento i primi palpiti del cuore, le prime timide simpatie. Per le due amiche era già finito il tempo dei giochi e, non più bambine ma non ancora donne, non era loro permesso indulgere nell'ozio. Perciò, nei momenti che lo studio dell'una e il lavoro dell'altra lo consentivano, sedevano sotto il melo a ricamare, perché a quei tempi, in campagna, c'era l'uso che le ragazze iniziassero molto presto a prepararsi il corredo. Intente al loro ricamo, sognavano di un futuro roseo e felice. Il vecchio melo, muto custode di quei sogni, trepidava per loro, perché sapeva che la vita non mantiene mai ciò che sembra promettere nell'età lieve dell'adolescenza.

Con il passar del tempo non erano mutate le caratteristiche fisiche delle due ragazze: agile e flessuosa, la più giovane era ancora la più alta, e i lunghi capelli castani incorniciavano un visetto sottile dove navigavano grandi occhi nocciola. L'altra, piccola e minuta, conservava l'espressione gaia che fin dall'infanzia le illuminava il viso, ed era vivace e svelta come un fringuello. Con il tempo, l'oro dei suoi riccioli aveva preso un colore ancora più caldo, e le lunghe ciglia vellutate celavano profondi occhi scuri, dove guizzava sempre l'ombra di un sorriso.

Sedevano sotto il melo e con abili dita facevano fiorire sul bianco della tela preziosi ricami, mentre i loro pensieri galoppavano sulle ali della fantasia. Di tanto in tanto alzavano lo sguardo dal lavoro per sbirciare di soppiatto i loro coetanei che, in bicicletta, passavano e ripassavano sulla strada polverosa, facendo acrobatiche evoluzioni e cercando, con qualche frizzo, di carpire la loro attenzione. Ricamavano e aspettavano fiduciose, che il tempo trasformasse in realtà i loro sogni. Nelle sere d'estate, stesa una vecchia coperta sull'erba umida di rugiada, mentre i grilli frinivano fino a stordirle, stavano supine a fissare il firmamento, nell'attenta ricerca di una stella cadente che permettesse loro di esprimere un desiderio. E sempre quelli erano i loro desideri: un futuro felice, un amore ricambiato. I loro coetanei, complice l'oscurità, che l'unica illuminazione era quella fornita dal cielo stellato, si avvicinavano cauti al cancello ma, persa la baldanza che li animava di giorno, stavano timidi a guardarle, senza parlare.

Nel piccolo paese, poche case raggruppate attorno ad una strada polverosa d'estate e fangosa d'inverno, non succedeva mai niente di nuovo: i giovani si sposavano, i bambini nascevano, i vecchi morivano, e le stagioni passavano, troppo lentamente per le due ragazze che aspettavano impazienti il loro futuro di donne. E ancora una volta arrivò l'estate, improvvisamente. In pochi giorni il grano ancora verde divenne d'oro brunito e la schiera dei mietitori avanzò per i campi lasciandosi dietro stoppie brulle e mucchi di covoni. Sotto il melo, le due ragazze intente al loro eterno ricamo, vedevano passare a sera sulla strada polverosa i mietitori sudati e stanchi che tornavano dal lavoro. Passò anche luglio, mentre l'aria portava fino a loro il profumo, caldo di sole, del fieno appena tagliato.

Poi arrivò agosto. Solo la più giovane delle due ragazze sedette un giorno sotto il melo, il lavoro abbandonato in grembo, gli occhi persi nel vuoto ad inseguire chissà quali pensieri. La ragazza taceva e il melo non capiva perché una delle sue inseparabili amiche lo avesse ad un tratto abbandonato.
La ragazza taceva e sospirava, di giorno in giorno più triste e, sul ricamo che teneva in grembo, strano… cadevano gocce di pioggia, anche se il cielo era sgombro di nubi.

Fu in un'assolata e afosa mattina di mezz'agosto che il vecchio melo comprese, e desiderò che un fulmine lo incenerisse, per non vedere, per non sapere. In una bara tutta bianca, per l'ultima volta passò sotto la sua ampia ombra, la piccola amica dai riccioli biondi e l'altra, la ragazza dagli occhi tristi, mai più volle sedere sotto il vecchio melo.


Certamente nessuno, nel piccolo paese, più lo ricorda quel grande melo che stava un tempo nell'angolo dell'orto, né una giovinetta dai riccioli d'oro scuro e dagli occhi ridenti che seduta sotto la sua ombra, ricamava un inutile corredo sognando l'amore.
Ma c'è, ancora oggi, qualcuno che non ha dimenticato. Attorno a quelli che un tempo erano grandi occhi di cerbiatta spaurita ci sono ricami di rughe, fra i capelli castani fili d'argento e nella sua mente tante illusioni di meno, ma nel suo cuore c'è ancora tanto, tanto rimpianto e, intatti, i ricordi.


@ Carla Castellani
(Krilù) 


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sabato 25 gennaio 2014

Ancora "Gennaio millenovecentosessanta"

Un gennaio di 54 anni fa ... il suo ultimo compleanno... 16 anni...
Solo fino alla metà di agosto continuò ancora il tempo dei sogni e delle illusioni. Poi la nostra adolescenza appena sbocciata si disintegrò nell'impatto contro la tragica, inaspettata realtà.

Alcuni di voi probabilmente ricorderanno di aver già letto i versi che seguono, (già pubblicati 3 anni fa qui sul mio blog oltre che sul blog di Carla Colombo nella vetrina che mi aveva  dedicata nel 2010), ma ho voluto metterli a confronto con quelli del post precedente. Fra allora e adesso sono trascorsi circa quarant'anni e qui forse si avverte una maggiore scorrevolezza di scrittura (almeno me lo auguro), ma sicuramente ciò che li ha ispirati è lo stesso intenso sentimento di amicizia e rimpianto, vissuti con una maturità diversa, ma mai venuti a mancare.



Immagine presa dal Web



GENNAIO MILLENOVECENTOSESSANTA
(dedicata a Diana)


L’inverno ricamava di merletti
le scabre nudità dei biancospini
e di freddo l’aria profumava
e di fumo di legna dei camini.

Un pettirosso ardito sopra il pero
curioso spiava il nostro andare
sopra il fango rappreso di un sentiero
che d’altri passi serbava orme gelate.

Nell’aria sottile di gennaio
l’affanno della corsa sollevava
acerbi seni e scarmigliati crini
e con dita di brina accarezzava
gote arrossate e illividite membra.

Il correre giocoso s’arrestava
sull’argine gelato del Lamone
e di lassù l’orizzonte del mondo
valicando frontiere quotidiane
raggiungeva il pensiero e l’illusione.

Inconfessato un sogno nascondevi
sotto frange di palpebre socchiuse
e domande sottese e silenziosa
ascoltavi il fragore del silenzio.

Ma il soffio della notte il sogno spense
e l’ala dolce della tua breve vita
mai ti condusse oltre quell’orizzonte.

Io sola percorsi sconosciute strade
raccogliendo i detriti della vita
ma dietro palpebre grevi ancora conservo
il ricordo dell’ultimo tuo inverno.

(Gennaio 2001)


© Carla Castellani
(Krilù)

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domenica 19 gennaio 2014

I miei primi versi

La prima volta che ho scritto in versi avevo quattordici anni.
Era un torrido pomeriggio di mezz'agosto ed ero appena tornata da un funerale, quello della mia amica del cuore.
Diana aveva 16 anni ed era stata la mia amica di sempre, quella tanto desiderata sorella che non avevo mai avuto, compagna di giochi nell'infanzia e confidente nell'adolescenza.


Questi sono solo gli ingenui, infantili  versi di una ragazzina col cuore colmo di incredulità e di disperata impotenza,  ritrovati in fondo ad un cassetto, con l'inchiostro dilavato dal tempo e dalle lacrime. Quante lacrime ...!


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A DIANA 1

Una fredda pietra si è rinchiusa 
sopra una bara bianca 
e dentro ci sei tu piccola amica
con un tenue sorriso sulle labbra.

Tu dormi un sonno lungo,
eterno ma ad ogni momento
è come se dovessi risvegliarti,
schiuder le labbra
e consolar tua madre ...

ma no! non possono
svegliarti i suoi richiami 
le sue lacrime non possono
scaldarti, ora che giaci
immota nel sepolcro!

Ti ho visto morta, dentro quella bara
visino bianco in mezzo a tanti fiori
ho baciato la tua fronte gelida
e liscia come marmo
ma il mio cuore si rifiuta di credere
che sei in una notte senza aurora.

Tu resterai nella memoria
di quanti ti conobbero ed amarono
sempre così, come una sposina
col lungo abito bianco,
col velo bianco sulla testa bionda
e con un fiore bianco nella mano
 ultimo dono della tua compagna
che disperata per te piange ancora.

15 agosto 1960
@ Carla Castellani
(Krilù)




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A DIANA 2

Vago sola fra le croci 
nel silenzio del mattino,
ombre bianche, silenziose
mi accompagnano da te.
Ecco, là sotto quei fiori
 tu riposi e più non vedi
il sole d'oro che sfavilla
ancor nel cielo,

tu sei fredda, non ti scaldano 
i suoi raggi luminosi 
fra le braccia delle tenebre 
dormi un sonno senza sogni. 

 M'inginocchio sulla pietra,
tu mi guardi da un ritratto 
mi sorridi, mi conforti,
ma le lacrime già scorrono 
sul mio viso triste e stanco 
e sui fiori poi si posano 
come gocce di rugiada.
 La tua ombra bianca e lieve 
ora aleggia intorno a me 
e mi sfiora ... o forse è il vento 
che pietoso mi accarezza 
e poi fugge sussurrando 
fra i cipressi, fra le croci. 

15 agosto 1960
@ Carla Castellani
(Krilù)





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E' passato  tanto tempo da allora  ma infinite altre volte, nel corso degli anni che sono seguiti, col mio scrivere ho espresso in versi e in prosa l' accorato ricordo di colei che fu l'innocente causa del primo inenarrabile dolore della mia vita.


giovedì 16 gennaio 2014

4 anni insieme

Non mi sembra vero di aver raggiunto questo traguardo ma è davvero così... oggi questo blog festeggia il suo 4° anno di vita.


E' stato un anno alquanto "tribolato" che purtroppo non mi ha vista assiduamente presente, ciò nonostante la maggior parte dei miei lettori abituali ha continuato a seguirmi.
Anche se spesso ho lasciato senza risposta i loro commenti o non sono riuscita a ricambiare le loro visite, al mio rientro nel blog ho sempre trovato ad accogliermi, con la loro affettuosa comprensione,  il caldo abbraccio degli amici più fedeli, ed a loro voglio rivolgere un sentito ringraziamento per esserci e l'invito a brindare insieme a me, con la speranza di continuare a camminare insieme per molto tempo ancora.

martedì 14 gennaio 2014

L'uomo delle puntine

Eric Daigh è un giovane artista americano, nato  in California nel 1977, che vive e lavora in Michigan.
Questo geniale creativo realizza i suoi ritratti utilizzando puntine da disegno colorate, in una sorta di moderno mosaico. Con solo cinque tinte ((giallo, rosso, blu, nero e bianco) è in grado di produrre opere grandi fino a due metri di lato per la cui realizzazione sono necessarie oltre ventimila puntine e fino a otto mesi di lavoro.

Vogliamo definirlo un esponente del "puntinismo"? Più puntinismo di così!!!!!!!!!











sabato 11 gennaio 2014

60 anni di trasmissioni TV

La televisione ha 60 anni. Infatti in Italia le trasmissioni televisive della Rai - Radio Televisione Italiana, iniziarono ufficialmente domenica 3 gennaio 1954.


Alle ore 11.00 sui (pochi) teleschermi italiani, apparve il volto della prima annunciatrice televisiva, Fulvia Colombo, che pronunciò le fatidiche parole:
"La Rai, Radiotelevisione italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive".


Le trasmissioni, che erano in bianco e nero ed erano realizzate dalla sede RAI di Milano, venivano trasmesse su un unico canale e duravano solo alcune ore al giorno, con inizio a mezzogiorno e termine verso le 23,00.


All'inizio il televisore era un bene di lusso che solo pochi cittadini previlegiati o i locali pubblici potevano permettersi di acquistare.
Io ero una bimba quando la televisione arrivò al mio paesello.
Ricordo che il primo apparecchio televisivo apparso in paese era stato acquistato da una famiglia che abitava due case oltre la mia e poichè tutti i paesani erano incuriositi dalla novità, nelle sere d'estate tutti ci si riversava nel loro cortile, per vedere "la televisione".


Naturalmente sarebbe stato impossibile entrare tutti in casa, perciò l'apparecchio veniva posizionato davanti alla finestra aperta della cucina, a pianterreno, e la piccola folla dei telespettatori si sistemava all'aperto, su sedie e sgabelli che ognuno si portava da casa.
In seguito anche il bar del paese si munì di apparecchio televisivo, così i miei gentili vicini di casa poterono finalmente riappropriarsi della loro privacy.

mercoledì 8 gennaio 2014

Metempsicosi


Inesorabili, come granelli di sabbia in una clessidra, sono passati i giorni, i mesi, gli anni e con stupore mi accorgo che, anche se mi pare che sia accaduto  soltanto ieri, stasera saranno 15 anni che la mia mamma se n'è andata, lasciando questa vita ma non il mio cuore, i miei pensieri, i miei ricordi.
Con questi versi (una delle prime poesie che ho scritto per lei dopo che mi ha lasciata) voglio qui ricordarla, con amore, con dolcezza e con grande rimpianto.



METEMPSICOSI

Se mai un giorno
in altro tempo
in altra vita
incontrerò il tuo sguardo
in sconosciuti occhi

e un lembo d’anima
fra le pieghe di antiche nostalgie
ritroverà il tuo calore

forse saprò perché
per un istante – Madre –
mi avrà tremato il cuore.


@ Carla Castellani
(Krilù)



domenica 5 gennaio 2014

La Natività nell'arte

Un tema molto ricorrente quello della Natività nelle opere pittoriche dei grandi artisti italiani del passato.
Ma la produzione di questi capolavori  è  talmente vasta che ho dovuto limitare la scelta  per non appesantire troppo il post.



"Natività"

Giotto di Bondone (1304-1306) 
affresco
Padova, Cappella degli Scrovegni






"La Natività tra i profeti Isaia ed Ezechiele "

Duccio di Buoninsegna (1308)
tempera
Washington (USA), Nationl Gallery of Art





"La Natività con San Giorgio e San Vincenzo Ferrer"

Filippo Lippi e collaboratori (1450 - 1475)
Tempera su tavola, cm. 146,5 x 156,5
Prato, Museo Civico (già nella chiesa di San Domenico)




"Natività di Cristo"

Francesco di Giorgio Martini (1475)
  tempera su legno, 203 x 198,5
Siena, Pinacoteca Nazionale





"Natività"

Luca Signorelli
Cortona, Museo Diocesiano






"Adorazione del Bambino"

Beato Angelico e aiuti (1440-1441 circa)
affresco
Firenze, Convento di San Marco




"Adorazione dei Magi"

Gentile da Fabriano (1423)
Tempera, oro e argento su tavola 300x282
Firenze, Galleria degli Uffizi










"Natività di Cristo"

Francesco di Giorgio Martini (1490-1495)
tempera su legno, m.239x209
Siena, San Domenico 





"Gesù Bambino tra la Madonna e San Giuseppe, adorato dai pastori"

Pietro Vannucci (detto il l Perugino)  1515 c., 
olio su tavola, cm 34.5x45.1,
Bergamo, Accademia Carrara







"Natività di Cristo"

Federico Barocci, (1590 circa)
Madrid, Museo del Prado.