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sabato 12 marzo 2011

Nel buio di una nave


Ravenna - La tragedia della Mecnavi.
Era la mattina del 13 marzo 1987 quando, a bordo della gasiera "Elisabetta Montanari" in manutenzione presso il cantiere della Mecnavi nel Porto di Ravenna, il mancato rispetto delle norme di sicurezza costò la vita a tredici operai che, intrappolati nella stiva, morirono soffocati dai gas altamente tossici sprigionati da un piccolo incendio innescato dalla scintilla di una fiamma ossidrica.
Fu quello il più grave incidente sul lavoro accaduto dal dopoguerra in Italia.

Questi i nomi delle tredici vittime:
Filippo Argnani, nato ad Argenta il 2/5/1947 - di Filo di Argenta (FE)
Marcello Cacciatore, nato a Ruffano il 23/11/1964 - di Ruffano
Alessandro Centioni, nato a Forlì il 13/9/1966 - di Bertinoro (FC)
Gianni Cortini, nato a Ravenna il 5/2/1968 - di Ravenna
Massimo Foschi, nato a Cervia il 22/3/1951 - di Cervia (RA)
Marco Gaudenzi, nato a Bertinoro il 25/6/1969 - di Bertinoro (FC)
Domenico Lapolla, nato a Civitella il 17/3/1962 - di Bertinoro (FC)
Mohamed Moesad, nato a Il Cairo il 15/3/1951 - di Punta Marina (RA)
Vincenzo Padua, nato a Scicli il 1/8/1927 - di Mezzano (RA)
Onofrio Piegari, nato a Bertinoro il 29/8/1968 - di Ravenna
Massimo Romeo, nato a Imola il 9/10/1963 - di Ravenna
Antonio Sansovini, nato a Bertinoro il 21/6/1958 - di Bertinoro (FC)
Paolo Seconi, nato a Ravenna il 7/7/1963 - di Ravenna




"Nel buio di una nave"
a cura del giornalista Rudi Ghedini
Bradipolibri, Torino
Collana: Le inchieste del bradipo
edito nel 2007
è il libro-inchiesta che uscì in occasione del 20° anniversario di quel tragico evento. Un libro che in 112 pagine ricostruisce la drammatica vicenda, l'infinita catena di responsabilità ed omissioni e il lungo iter processuale che si concluse con pene irrisorie per i colpevoli.



"Ogni morte è dolorosa, ma quando avviene per indifferenza o, peggio, per responsabilità di qualcun altro, deve muovere gli animi all'indignazione" si legge nella prefazione al libro di Rudi Ghedini, che porta le firme del Sindaco Fabrizio Matteucci, del Presidente della Provincia Francesco Giangrandi e dei tre Segretari Generali di Cgil, Cisl e Uil di Ravenna, Luigi Folegatti, Giorgio Graziani e Riberto Neri.
"Le vittime - ricorda Ghedini - dipendevano da 5 aziende diverse; 8 lavoravano in nero, 3 avevano meno di vent'anni, 12 erano picchettini. Per 3 di loro si trattava del primo giorno di lavoro."
Morirono "come topi" disse l'allora Arcivescovo di Ravenna Mons. Ersilio Tonini, facendosi portavoce del doloroso stupore e dell'incredulità che colpì la città intera.
"Nessuno immaginava - si disse - che nella civilissima Ravenna si potesse lavorare in quel modo", senza diritti e senza regole.

Così comincia il libro:
"È sulle navi che bisogna cercarli, i picchettini. Sulle navi in porto. E bisogna sapere dove cercarli, perché non sono in vista. Il loro lavoro non ha nulla a che fare con l'aria aperta e il salmastro, l'azzurro e lo iodio. Ha a che fare, piuttosto, con il sottosuolo, la claustrofobia, la miniera.
Picchettino è una parola che si trova su pochi vocabolari (a parte la declinazione del verbo picchettare), e nemmeno i motori di ricerca su Internet offrono risposte esaurienti; secondo l'INAIL si tratta della qualifica professionale classificata con il numero 709.
Sulle petroliere in secca, i picchettini vengono chiamati a svolgere le operazioni di pulizia nella stiva, usano stracci, palette, spazzole e raschietti per rimuovere la ruggine e i residui di combustibile colati dai serbatoi. Non è un'attività che richieda personale particolarmente qualificato. Servono forza di volontà e spirito di sacrificio, si tratta di eseguire mansioni semplici quanto disagevoli, in condizioni di scarsa visibilità. Un lavoro sporco e rumoroso: i picchettini devono incunearsi in ambienti ristretti e stare stesi sulla schiena o sul ventre, l'altezza dei doppifondi non va oltre gli 80-90 centimetri.
Quando tredici corpi senza vita vennero estratti dal ventre della nave gasiera Elisabetta Montanari, il 13 marzo 1987, nel cantiere Mecnavi, il più grande cantiere privato del porto di Ravenna e dell'intero Adriatico, prima i soccorritori e poi i giornalisti rimasero stupefatti dall'aspetto dei picchettini: facce annerite, maglioni pesanti infilati uno sopra l'altro, pantaloni di velluto spesso, passamontagna, giacca e pantaloni di tela cerata, lunghi stivali. Sui giornali del 14 marzo tutti scoprirono la parola picchettino e dovettero associarla a una tragedia...".



Nonostante gli anni passati, ricordo ancora molto bene lo sgomento, l'emozione e la rabbia che percorse la città quando si sparse la notizia della tragedia, e la folla immensa che il 16 marzo partecipò alle esequie. Una tragedia che ha lasciato una profonda ed incancellabile cicatrice nel cuore dei ravennati.

E l'emozione e la rabbia provate in quei giorni che sconvolsero la città, mi si risveglia in cuore e si rinnova ogni volta che il telegiornale dà notizia di nuove morti sul luogo di lavoro.
Cosa che ahimè accade troppo di frequente, quasi che la vita umana fosse una materia prima d'irrilevante importanza di fronte alla legge della competitività imprenditoriale e del profitto.


E allora mi ritorna in mente il grande striscione che in quei giorni di lutto e di rabbia apriva il corteo, con la scritta "MAI PIU' ".
Un obiettivo, quel MAI PIU', che a tanti anni di distanza non è stato ancora raggiunto e che alla luce di altri drammatici eventi (un nome per tutti: Thyssen Krupp di Torino, ma troppo lungo sarebbe l'elenco delle "morti bianche") risuona come una beffarda irrisione per i lavoratori.




20 commenti:

  1. Ricordo quell'episodio,Si disse che non doveva accadere mai più,ma poi,come hai giustamente ricordato.....

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  2. E'un piacere rileggerti, un bacione e buon fine settimana

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  3. Nella ormai lunga vita ne ho sentite di notizie di morti sul lavoro e tante volte ho partecipato a manifestazioni per la difesa della salute e per la prevenzione sui luoghi di lavoro.Io stesso sono vivo per caso. Poi ricordo le facce gialle e scarnite di diversi amici poi morti per cancro a causa dei collanti nei calzaturifici.
    E ricordo l'indifferenza di chi si approfittava delle centinaia di lavoratori venuti dal sud o dalle campagne per farli lavorare 10, dodici ore nelle concerie malsane.
    Qualcosa abbiamo fatto cambiare, ma attenzione!
    gli approfittatori sono sempre pronti, come all'entiamo la guardia c'è sempre il padrone pronto ad approfittare lo dimostrano ancora i più di mille morti all'anno nei luoghi di lavoro.

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  4. Già.. MAI PIÙ.. e si continua a morire...

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  5. Ricordare perché sia anche di monito. Lottare giorno per giorno anche su questo terribile fronte!

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  6. Oltre a questi casi drammatici che continuano a ripetersi, ci sono innumerevoli casi di infortuni, di cui non si parla perché meno gravi, ma in cui le persone perdono l'uso di dita, mani, gambe...specie nelle fabbriche molto piccole, può capitare di lavorare su macchinari non a norma.
    Io ero molto piccola quando ci fu questo incidente e non mi ricordavo di questo fatto terribile.
    Un abbraccio, a presto
    Giada

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  7. Terribile... bisognerebbe come hai fatto tu ricordare più spesso questi fatti.
    Un abbraccio

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  8. Grazie Costantino, per la tua costante attenzione.
    Ciao!

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  9. Grazie Milù, anche per me è un piacere riuscire ad essere più presente. Un bacio.

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  10. Grazie per il tuo interessante commento, Maresco.
    Ciò che dici è molto vero: guai ad allentare la guardia.

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  11. Ciao Sara. A quel MAI PIU', io ci avevo creduto davvero, e invece la legge del profitto ... è sempre lei quella che vince sulla pelle di chi lavora.

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  12. Dici bene Adriano: MAI DIMENTICARE!!!
    Il ricordo di tutte le vite assurdamente immolate sull'altare del profitto padronale deve dare sempre nuovo vigore alla lotta dei lavoratori per la conquista della sicurezza sui luoghi di lavoro.
    Perché si lavora per vivere, non per morire.

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  13. Purtroppo è vero Giada: oltre ai casi eclatanti che balzano all'onore delle cronache nazionali per aver causato dei morti, c'è un infinito stillicidio di infortuni "minori", ma non meno devastanti per la vita dei lavoratori che ne vengono colpiti. E, guarda caso, in massima parte sono causati dalla mancata applicazione delle norme di sicurezza.
    Ti abbraccio e presto passerò anche dal tuo blog.

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  14. Grazie per il tuo commento Elena.
    Credo che ricordare e commemorare sia molto importante. Nonostante i 24 anni passati, la mia città non dimentica. E nemmeno io.
    Ciao, cara Elena. A presto.

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  15. ciao... hai ragione...bisogna ricordare...
    sempre e commemorare..
    brava..ciao..luigina

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  16. Ciao Luigina, grazie per il tuo commento.

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  17. ciao cara, io non ricordavo assolutamente questo episodio e quindi ho letto il post con grande interesse. Purtroppo nulla (o poco) sembra essere cambiato, sul lavoro, altro che MAI PIU'. Ed è una vera tragedia. P.S. per ritrovare il tuo blog ho dovuto fare una piccola ricerca perché non c'è un link diretto dalla tua icona, almeno non da quella che compare tra i miei followers (potresti inserirlo dalle impostazioni). Ciao!!!

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  18. @ Turistadimestiere - grazie per l'attenzione che hai prestato a questo avvenimento, che mi stava particolarmente a cuore ricordare.
    Grazie anche per la segnalazione del mancato link: ora vedo se riesco a rimediare ... speriamo, perché non sono particolarmente efficiente per certe cose.
    Ciao!

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  19. Grazie a te Sofio e benvenuto nel mio blog.
    Torna quando vuoi. Sono passata da te ed ho molto apprezzato il tuo ultimo post, così mi sono iscritta tra i tuoi follower

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Vi prego di scusarmi se non sempre riuscirò a rispondervi e Vi ringrazio fin d'ora per la gradita visita e per i commenti che vorrete eventualmente lasciarmi.