Lei aveva 16 anni e Lui 19, quando si innamorarono.
Si vedevano ogni giorno, perché Lui lavorava per la famiglia di Lei. Mangiavano alla stessa tavola, dormivano sotto lo stesso tetto, lavoravano nei campi fianco a fianco e sognavano impazienti il momento in cui si sarebbero finalmente sposati.
Ma scoppiò la guerra e Lui partì soldato.
Il loro amore si alimentò a distanza di lettere e cartoline col timbro “visto per censura”.
Nelle buste, insieme alle loro ingenue parole d’amore, viaggiavano fotografie di Lui in divisa, che cercava di ostentare un aspetto marziale, o di Lei con il vestito della festa e i capelli in ordine, che voleva apparirgli sempre più bella.
Da Messina, dove era di stanza in attesa dell’imbarco per l’Africa Orientale, Lui le scrisse: “vai dal prete a preparare le carte che torno a sposarti”.
Quando tornò era il tempo del raccolto e prima di sposarsi Lui lavorò tutto il giorno sull'aia, insieme ai fratelli di Lei, per terminare il “barco” dei covoni di grano, un lavoro di grande fatica.
Poi si sposarono alla presenza della sola famiglia, nella vetusta chiesetta del paese. Era una domenica, il 27 giugno 1943. Lei aveva 20 anni e Lui 23.
Non era così che Lei aveva sognato il suo matrimonio, senza il velo bianco, senza invitati e senza il pranzo di nozze, ma si era in tempo di guerra e ciò che contava era avere accanto il suo unico grande amore. Ebbero però un breve viaggio di nozze: 3 giorni a Rimini che raggiunsero in bicicletta, ospiti di una sorella di Lui.
Poi la guerra lo riacciuffò nelle sue spire, non in Africa, che al termine della licenza matrimoniale il suo contingente era già partito, ma in Albania e poi in Grecia.
Un provvidenziale attacco di appendicite, operato d’urgenza sotto una tenda da campo, (e in assenza di anestesia un pugno per stordirlo), lo fece ritornare in Italia, in convalescenza. Provvidenziale davvero quella appendicectomia, perché l’armistizio dell’8 settembre lo colse al Convalescenziario di Cervia, ad appena una quarantina di km. da casa, dove riuscì a tornare con mezzi di fortuna.
Forse dalla Grecia non sarebbe mai più tornato.
Per il resto del tempo che durò la guerra i due sposini continuarono a vivere e a lavorare con la grande famiglia di Lei, alla mercè di due eserciti contrapposti, riparandosi nel rifugio che era stato ricavato all'interno di un pagliaio, per sfuggire ai feroci rastrellamenti dei nazi-fascisti e ai bombardamenti degli alleati.
La loro prima e unica figlia nacque a guerra finita, tre anni dopo le loro nozze.
Vissero insieme, in buona armonia, per 52 anni condividendo duro lavoro e tanti sacrifici, e se ne andarono a tre anni di distanza l’una dall’altro.
Quei tre anni di vedovanza Lei, che non voleva più vivere, li trascorse con il solo desiderio di potersi finalmente ricongiungere all'uomo che era stato l' unico grande amore della sua vita.
Oggi, a 72 anni da quelle lontane nozze di guerra, io sono qui a celebrare nel ricordo, con grande tenerezza e riconoscenza, quei due giovani sposi, che furono i miei adorati genitori.
Si vedevano ogni giorno, perché Lui lavorava per la famiglia di Lei. Mangiavano alla stessa tavola, dormivano sotto lo stesso tetto, lavoravano nei campi fianco a fianco e sognavano impazienti il momento in cui si sarebbero finalmente sposati.
Ma scoppiò la guerra e Lui partì soldato.
Nelle buste, insieme alle loro ingenue parole d’amore, viaggiavano fotografie di Lui in divisa, che cercava di ostentare un aspetto marziale, o di Lei con il vestito della festa e i capelli in ordine, che voleva apparirgli sempre più bella.
Da Messina, dove era di stanza in attesa dell’imbarco per l’Africa Orientale, Lui le scrisse: “vai dal prete a preparare le carte che torno a sposarti”.
Quando tornò era il tempo del raccolto e prima di sposarsi Lui lavorò tutto il giorno sull'aia, insieme ai fratelli di Lei, per terminare il “barco” dei covoni di grano, un lavoro di grande fatica.
Poi si sposarono alla presenza della sola famiglia, nella vetusta chiesetta del paese. Era una domenica, il 27 giugno 1943. Lei aveva 20 anni e Lui 23.
Non era così che Lei aveva sognato il suo matrimonio, senza il velo bianco, senza invitati e senza il pranzo di nozze, ma si era in tempo di guerra e ciò che contava era avere accanto il suo unico grande amore. Ebbero però un breve viaggio di nozze: 3 giorni a Rimini che raggiunsero in bicicletta, ospiti di una sorella di Lui.
Poi la guerra lo riacciuffò nelle sue spire, non in Africa, che al termine della licenza matrimoniale il suo contingente era già partito, ma in Albania e poi in Grecia.
Un provvidenziale attacco di appendicite, operato d’urgenza sotto una tenda da campo, (e in assenza di anestesia un pugno per stordirlo), lo fece ritornare in Italia, in convalescenza. Provvidenziale davvero quella appendicectomia, perché l’armistizio dell’8 settembre lo colse al Convalescenziario di Cervia, ad appena una quarantina di km. da casa, dove riuscì a tornare con mezzi di fortuna.
Forse dalla Grecia non sarebbe mai più tornato.
Per il resto del tempo che durò la guerra i due sposini continuarono a vivere e a lavorare con la grande famiglia di Lei, alla mercè di due eserciti contrapposti, riparandosi nel rifugio che era stato ricavato all'interno di un pagliaio, per sfuggire ai feroci rastrellamenti dei nazi-fascisti e ai bombardamenti degli alleati.
La loro prima e unica figlia nacque a guerra finita, tre anni dopo le loro nozze.
Vissero insieme, in buona armonia, per 52 anni condividendo duro lavoro e tanti sacrifici, e se ne andarono a tre anni di distanza l’una dall’altro.
Quei tre anni di vedovanza Lei, che non voleva più vivere, li trascorse con il solo desiderio di potersi finalmente ricongiungere all'uomo che era stato l' unico grande amore della sua vita.
Oggi, a 72 anni da quelle lontane nozze di guerra, io sono qui a celebrare nel ricordo, con grande tenerezza e riconoscenza, quei due giovani sposi, che furono i miei adorati genitori.