In merito alla tanto discussa Festa di Halloween, che ormai da tempo ha preso piede anche in Italia e vede un acceso dibattito fra detrattori ed estimatori di questa celebrazione considerata d'importazione, ho letto e riporto dalla pagina Facebook di Eraldo Baldini, autore insieme a Giuseppe Bellosi del saggio "Halloween. Origine, significato e tradizione di una festa antica anche in Italia", queste dotte considerazioni che forse vale la pena di conoscere:
"" È in libreria, dopo nove anni dalla prima edizione per Einaudi, che ebbe grande successo e non tardò ad esaurirsi, il corposo saggio (332 pagine) pubblicato dalla Società Editrice Il Ponte Vecchio che Eraldo Baldini e Giuseppe Bellosi dedicano alla festa di Halloween in Italia, intitolato "Halloween. Origine, significato e tradizione di una festa antica anche in Italia". Un libro che, prendendo in esame, grazie ad una ricerca accuratissima, le tradizioni di tutto il territorio nazionale, si pone l’obiettivo di dimostrare che questa celebrazione, ritenuta erroneamente nata altrove ed estranea alla nostra cultura popolare, ha in realtà in Europa e anche da noi la propria origine. Ne spiega inoltra la genesi, le forme e i significati, oltre che il percorso del suo “ritorno” in grande stile nel nostro Paese. La nuova edizione è aggiornata e leggermente ampliata rispetto a quella del 2006.
Per tornare ai contenuti del volume, è innegabile che la festa di Halloween abbia preso fortemente piede anche in Italia, tanto da proporsi oggi, soprattutto per le nuove generazioni, come uno degli appuntamenti più attesi dell’anno. Bambini mascherati che girano per le case a gridare il loro Dolcetto o scherzetto?, feste nei locali pubblici e nei centri piccoli e grandi, vetrine a tema, zucche intagliate: tutti gli elementi di questa celebrazione ci sono sempre più familiari e stanno, per molti, diventando irrinunciabili. Ciò non ha mancato e non manca di suscitare un dibattito che vede da una parte i favorevoli, dall’altra coloro che storcono la bocca davanti a una festa ritenuta importata, estranea alle nostre tradizioni, quindi da noi fuori luogo, frutto di imitazione e foriera esclusivamente di consumismo o, peggio, di valori negativi. Ora, se è vero che il boom odierno è senza dubbio dovuto a suggestioni cinematografiche, televisive e letterarie provenienti da oltreoceano, oltre che a sapienti campagne pubblicitarie, è altrettanto vero (ma non a tutti noto) che nel folklore delle regioni italiane, nei giorni che vanno dalla vigilia di Ognissanti, cioè dal 31 ottobre, a quello di San Martino, 11 novembre, legati in un continuum celebrativo, sono da tempo immemorabile presenti, o lo erano almeno fino ai primi del Novecento, tutti gli elementi costitutivi della festa. E questo da ben prima che la Chiesa, nel medioevo, cristianizzasse tali arcaiche ricorrenze riservate al culto dei defunti, dedicando il 1° novembre a Tutti i Santi e più tardi il 2 novembre ai Morti. Dalle Alpi alla Sicilia, pur se con diversa intensità da un’area all’altra, troviamo (o trovavamo) in abbondanza in quelle date riti di accoglienza per i defunti, questue di bambini o di poveri nelle case, dolci tradizionali dal nome macabro (come ad esempio ossa di morto), zucche intagliate, cene e libagioni, pratiche divinatorie, racconti terrificanti. Questo a dimostrazione del fatto che il bagaglio tradizionale della festa ha non solo, come è ovvio, derivazione europea, ma anche una larghissima diffusione, che supera (e certamente precede) i contributi della cultura celtica a cui è normalmente attribuito. Ma vediamo nel dettaglio alcuni degli elementi concettuali e formali della celebrazione. Innanzitutto quelli denotanti che tale momento del calendario era stato, in qualche epoca o in particolari zone, un vero e proprio capodanno, e ovunque e sempre un importantissimo spartiacque calendariale collocato nel tempo in cui finiscono tutti i raccolti e si riparte con le semine. Ce lo dimostrano vari usi civili e giuridici tradizionali come la scadenza dei fitti e dei contratti colonici; e poi l’uso delle strenne, delle divinazioni, e soprattutto la credenza in un corale “ritorno dei morti”. A questa sono legate le forme celebrative più note ed evidenti. Se in occasione di Halloween i bambini girano a chiedere dolci, mascherati in modo orrifico per impersonare le creature dell’aldilà, un tempo in molte regioni italiane in quei giorni, similmente, bambini e poveri, simbolicamente vicari dei morti stessi, questuavano e a volte lo facevano mascherati, in una chiara rappresentazione dei defunti. Anche senza travestimento, comunque, conducevano la questua esplicitando di farla in nome dei trapassati. Erano largamente praticate anche forme di questua passiva tramite offerte di cibi, di pranzi, di regali: ad esempio in Sicilia e altrove (zone della Puglia, ecc.) erano proprio i Morti, nella notte tra 1 e 2 novembre, a portare i doni ai più piccoli, e non, come accadeva altrove in altra data, la Befana o Gesù Bambino o, più tardi, Babbo Natale. Un corredo tipico della festa odierna sono le zucche svuotate e intagliate a rappresentare un teschio. Anche questa usanza, tra Ognissanti e San Martino, era diffusa in molte località nostrane, e ben prima che fosse introdotta negli Stati Uniti dagli immigrati europei. In Lombardia tali zucche erano molto diffuse e chiamate lumere, in aree del Trentino-Alto Adige nella notte dei Morti si addobbavano i cimiteri con lumini ricavati da gusci di lumaca, mentre al centro del camposanto si poneva una zucca intagliata. Zucche sulle tombe sono testimoniate anche in Friuli-Venezia Giulia. In Veneto venivano messe negli angoli dei paesi o venivano portate in giro da bambini schiamazzanti. In Liguria gruppi di giovani portavano zucche in processione, in Emilia e in Romagna erano collocate nei crocicchi, su muretti, tra le siepi o sui davanzali. In Abruzzo e Molise, soprattutto nella Valle Peligna, a Sulmona ecc., dove queste tradizioni non sono mai scomparse rimanendo vivissime, i ragazzi dipingevano scheletri e teschi sulle porte, si accendevano roghi propiziatori e difensivi nelle piazze e i bambini questuavano portando con sé zucche intagliate illuminate dall’interno. L’uso delle zucche è testimoniato nel folklore della Puglia, dove venivano chiamate coccie priatorje (teste del purgatorio), in quello della Calabria, dove venivano portate dai bambini questuanti, in quello della Sardegna, dove le questue infantili erano diffusissime. Nella celebrazione contemporanea, altro corollario dell’evento sono i riferimenti a un clima di paura, ovviamente stemperato nella finzione e nella fiction vera e propria. C’è dunque l’abitudine di guardare film horror, di allestire addobbi che vogliono far rabbrividire. In passato, quando era diffusissima la credenza nella possibilità che schiere di defunti potessero, in questo periodo, irrompere nella dimensione terrena, tali timori si materializzavano in tradizioni e credenze riguardanti processioni e messe dei morti e, in genere, in una loro fitta e libera circolazione, sia nelle forme più temute sia in quella mitico-rituale che prevedeva il bonario ritorno degli Antenati nelle loro case e le conseguenti pratiche di accoglienza nei loro confronti. In larga parte dell’Italia si pensava che nella notte tra 1 e 2 novembre, o in quella precedente, inquietanti cortei di defunti attraversassero gli abitati; e guai ad incontrarli, per cui si rimaneva chiusi nelle abitazioni. Ancora più diffuso era l’uso di lasciare nelle case, proprio per il ristoro e il riposo dei trapassati, cibi, bevande, il fuoco acceso e i letti puliti e rifatti: premure non sempre ritenute sufficienti a evitare la pericolosità e il timore insiti in tali visite. E a proposito di timori, erano diffusissimi i racconti terrificanti legati alla presenza temporanea dei morti, così come lo erano le precauzioni al riguardo. Solo per fare un esempio: i pescatori delle coste marchigiane, toscane, abruzzesi, pugliesi, nella notte dei Morti non uscivano alla pesca, convinti che le reti si sarebbero riempite solo di ossa umane e di teschi. Oggi intorno alla questua dei bambini e al clima horror si muove un’atmosfera di festa, che si concretizza in cene con amici, in serate a tema nei locali e nelle piazze, eccetera. Anche in passato, soprattutto alla chiusura del periodo celebrativo, cioè per San Martino, la baldoria era di rigore con tutti i suoi aspetti formali e alimentari. Per concludere, questa “nuova festa”, che è riuscita nel giro di pochi anni a conquistare il nostro Paese con una rapidità e una capacità di penetrazione impensabili, in verità di nuovo ha ben poco: anche se il suo odierno successo deriva da un punto lontano più nello spazio che nel tempo, non si può non osservare che essa finisce per essere, da noi, nient’altro che una ripresa di tradizioni antiche che si erano abbandonate, dimenticate o in qualche modo snaturate.
L’odierna impronta consumistica della ricorrenza nulla può togliere a questo dato di fatto. Chi grida allo scandalo, asserendo che la celebrazione di Halloween nulla avrebbe a che fare con le nostre tradizioni, non è dunque nel giusto. Perché, come abbiamo visto, per forme e significati essa è in realtà unita da fili robustissimi al nostro passato e pure a un contesto folklorico del presente (in alcune zone d’Italia le ritualità a cui facciamo riferimento non si erano mai interrotte). Occorre poi mettere l’accento su una cosa: oggi i bambini e i giovanissimi del nostro Paese si sono entusiasticamente appropriati (o meglio riappropriati) di tale festa, e in questo modo sono tornati ad essere protagonisti di una celebrazione folklorico-rituale dopo che, per vari motivi, non avevano quasi più l’abitudine di essere al centro delle questua della mattina di Capodanno, del clima magico dell’Epifania, di forme vive e sentite del Carnevale. Semmai, sarebbe bello e utile aggiungere al loro entusiasmo e al loro divertimento anche una maggiore consapevolezza rispetto a ciò che stanno facendo e rappresentando. Una consapevolezza che questo libro può restituire, con la serietà e l’accuratezza di una grande, lunga e paziente ricerca e di una seria e approfondita analisi""
Per tornare ai contenuti del volume, è innegabile che la festa di Halloween abbia preso fortemente piede anche in Italia, tanto da proporsi oggi, soprattutto per le nuove generazioni, come uno degli appuntamenti più attesi dell’anno. Bambini mascherati che girano per le case a gridare il loro Dolcetto o scherzetto?, feste nei locali pubblici e nei centri piccoli e grandi, vetrine a tema, zucche intagliate: tutti gli elementi di questa celebrazione ci sono sempre più familiari e stanno, per molti, diventando irrinunciabili. Ciò non ha mancato e non manca di suscitare un dibattito che vede da una parte i favorevoli, dall’altra coloro che storcono la bocca davanti a una festa ritenuta importata, estranea alle nostre tradizioni, quindi da noi fuori luogo, frutto di imitazione e foriera esclusivamente di consumismo o, peggio, di valori negativi. Ora, se è vero che il boom odierno è senza dubbio dovuto a suggestioni cinematografiche, televisive e letterarie provenienti da oltreoceano, oltre che a sapienti campagne pubblicitarie, è altrettanto vero (ma non a tutti noto) che nel folklore delle regioni italiane, nei giorni che vanno dalla vigilia di Ognissanti, cioè dal 31 ottobre, a quello di San Martino, 11 novembre, legati in un continuum celebrativo, sono da tempo immemorabile presenti, o lo erano almeno fino ai primi del Novecento, tutti gli elementi costitutivi della festa. E questo da ben prima che la Chiesa, nel medioevo, cristianizzasse tali arcaiche ricorrenze riservate al culto dei defunti, dedicando il 1° novembre a Tutti i Santi e più tardi il 2 novembre ai Morti. Dalle Alpi alla Sicilia, pur se con diversa intensità da un’area all’altra, troviamo (o trovavamo) in abbondanza in quelle date riti di accoglienza per i defunti, questue di bambini o di poveri nelle case, dolci tradizionali dal nome macabro (come ad esempio ossa di morto), zucche intagliate, cene e libagioni, pratiche divinatorie, racconti terrificanti. Questo a dimostrazione del fatto che il bagaglio tradizionale della festa ha non solo, come è ovvio, derivazione europea, ma anche una larghissima diffusione, che supera (e certamente precede) i contributi della cultura celtica a cui è normalmente attribuito. Ma vediamo nel dettaglio alcuni degli elementi concettuali e formali della celebrazione. Innanzitutto quelli denotanti che tale momento del calendario era stato, in qualche epoca o in particolari zone, un vero e proprio capodanno, e ovunque e sempre un importantissimo spartiacque calendariale collocato nel tempo in cui finiscono tutti i raccolti e si riparte con le semine. Ce lo dimostrano vari usi civili e giuridici tradizionali come la scadenza dei fitti e dei contratti colonici; e poi l’uso delle strenne, delle divinazioni, e soprattutto la credenza in un corale “ritorno dei morti”. A questa sono legate le forme celebrative più note ed evidenti. Se in occasione di Halloween i bambini girano a chiedere dolci, mascherati in modo orrifico per impersonare le creature dell’aldilà, un tempo in molte regioni italiane in quei giorni, similmente, bambini e poveri, simbolicamente vicari dei morti stessi, questuavano e a volte lo facevano mascherati, in una chiara rappresentazione dei defunti. Anche senza travestimento, comunque, conducevano la questua esplicitando di farla in nome dei trapassati. Erano largamente praticate anche forme di questua passiva tramite offerte di cibi, di pranzi, di regali: ad esempio in Sicilia e altrove (zone della Puglia, ecc.) erano proprio i Morti, nella notte tra 1 e 2 novembre, a portare i doni ai più piccoli, e non, come accadeva altrove in altra data, la Befana o Gesù Bambino o, più tardi, Babbo Natale. Un corredo tipico della festa odierna sono le zucche svuotate e intagliate a rappresentare un teschio. Anche questa usanza, tra Ognissanti e San Martino, era diffusa in molte località nostrane, e ben prima che fosse introdotta negli Stati Uniti dagli immigrati europei. In Lombardia tali zucche erano molto diffuse e chiamate lumere, in aree del Trentino-Alto Adige nella notte dei Morti si addobbavano i cimiteri con lumini ricavati da gusci di lumaca, mentre al centro del camposanto si poneva una zucca intagliata. Zucche sulle tombe sono testimoniate anche in Friuli-Venezia Giulia. In Veneto venivano messe negli angoli dei paesi o venivano portate in giro da bambini schiamazzanti. In Liguria gruppi di giovani portavano zucche in processione, in Emilia e in Romagna erano collocate nei crocicchi, su muretti, tra le siepi o sui davanzali. In Abruzzo e Molise, soprattutto nella Valle Peligna, a Sulmona ecc., dove queste tradizioni non sono mai scomparse rimanendo vivissime, i ragazzi dipingevano scheletri e teschi sulle porte, si accendevano roghi propiziatori e difensivi nelle piazze e i bambini questuavano portando con sé zucche intagliate illuminate dall’interno. L’uso delle zucche è testimoniato nel folklore della Puglia, dove venivano chiamate coccie priatorje (teste del purgatorio), in quello della Calabria, dove venivano portate dai bambini questuanti, in quello della Sardegna, dove le questue infantili erano diffusissime. Nella celebrazione contemporanea, altro corollario dell’evento sono i riferimenti a un clima di paura, ovviamente stemperato nella finzione e nella fiction vera e propria. C’è dunque l’abitudine di guardare film horror, di allestire addobbi che vogliono far rabbrividire. In passato, quando era diffusissima la credenza nella possibilità che schiere di defunti potessero, in questo periodo, irrompere nella dimensione terrena, tali timori si materializzavano in tradizioni e credenze riguardanti processioni e messe dei morti e, in genere, in una loro fitta e libera circolazione, sia nelle forme più temute sia in quella mitico-rituale che prevedeva il bonario ritorno degli Antenati nelle loro case e le conseguenti pratiche di accoglienza nei loro confronti. In larga parte dell’Italia si pensava che nella notte tra 1 e 2 novembre, o in quella precedente, inquietanti cortei di defunti attraversassero gli abitati; e guai ad incontrarli, per cui si rimaneva chiusi nelle abitazioni. Ancora più diffuso era l’uso di lasciare nelle case, proprio per il ristoro e il riposo dei trapassati, cibi, bevande, il fuoco acceso e i letti puliti e rifatti: premure non sempre ritenute sufficienti a evitare la pericolosità e il timore insiti in tali visite. E a proposito di timori, erano diffusissimi i racconti terrificanti legati alla presenza temporanea dei morti, così come lo erano le precauzioni al riguardo. Solo per fare un esempio: i pescatori delle coste marchigiane, toscane, abruzzesi, pugliesi, nella notte dei Morti non uscivano alla pesca, convinti che le reti si sarebbero riempite solo di ossa umane e di teschi. Oggi intorno alla questua dei bambini e al clima horror si muove un’atmosfera di festa, che si concretizza in cene con amici, in serate a tema nei locali e nelle piazze, eccetera. Anche in passato, soprattutto alla chiusura del periodo celebrativo, cioè per San Martino, la baldoria era di rigore con tutti i suoi aspetti formali e alimentari. Per concludere, questa “nuova festa”, che è riuscita nel giro di pochi anni a conquistare il nostro Paese con una rapidità e una capacità di penetrazione impensabili, in verità di nuovo ha ben poco: anche se il suo odierno successo deriva da un punto lontano più nello spazio che nel tempo, non si può non osservare che essa finisce per essere, da noi, nient’altro che una ripresa di tradizioni antiche che si erano abbandonate, dimenticate o in qualche modo snaturate.
L’odierna impronta consumistica della ricorrenza nulla può togliere a questo dato di fatto. Chi grida allo scandalo, asserendo che la celebrazione di Halloween nulla avrebbe a che fare con le nostre tradizioni, non è dunque nel giusto. Perché, come abbiamo visto, per forme e significati essa è in realtà unita da fili robustissimi al nostro passato e pure a un contesto folklorico del presente (in alcune zone d’Italia le ritualità a cui facciamo riferimento non si erano mai interrotte). Occorre poi mettere l’accento su una cosa: oggi i bambini e i giovanissimi del nostro Paese si sono entusiasticamente appropriati (o meglio riappropriati) di tale festa, e in questo modo sono tornati ad essere protagonisti di una celebrazione folklorico-rituale dopo che, per vari motivi, non avevano quasi più l’abitudine di essere al centro delle questua della mattina di Capodanno, del clima magico dell’Epifania, di forme vive e sentite del Carnevale. Semmai, sarebbe bello e utile aggiungere al loro entusiasmo e al loro divertimento anche una maggiore consapevolezza rispetto a ciò che stanno facendo e rappresentando. Una consapevolezza che questo libro può restituire, con la serietà e l’accuratezza di una grande, lunga e paziente ricerca e di una seria e approfondita analisi""