Iniziamo l'anno con un sorriso.
Credo che non sia ignota a nessuno la simpatica filastrocca della "vispa Teresa", scritta per i bambini da Luigi Sailer, intorno al 1850, ma forse non tutti sanno che anche Carlo Alberto Salustri (più noto come Trilussa) nel 1917 si cimentò con questo testo, scrivendone, con la sua consueta ironica mordacità, l'ideale continuazione.
Io, che non ne ero a conoscenza, mi sono casualmente imbattuta in questo testo pubblicato da un'amica su Facebook e poichè l'ho trovato molto divertente ho voluto condividerlo con voi.
Spero non vi dispiaccia questa dissacrazione compiuta da Trilussa, di un personaggio che ci fu caro nella nostra infanzia.
LA VISPA TERESA
Se questa è la storia,
che sanno a memoria
i bimbi di un anno,
pochissimi sanno
che cosa le avvenne
quand'era ventenne!
Un giorno di festa,
la vispa Teresa
uscendo di Chiesa
si alzava la vesta
per farsi vedere
le calze chiffonne,
ché a tutte le donne
fa tanto piacere.
Armando il pittore,
vedendola bella,
le chiese il favore
di far da modella.
Teresa arrossì
ma disse di sì.
“Verrete?” “Verrò:
ma badi però...!”
“Parola d'onore!”
rispose il pittore.
Il giorno seguente,
Armando, l'artista,
stringendo furente
la nuova conquista,
gridava a distesa:
“T'ho presa, T'ho presa!”
A lui supplicando
Teresa gridò
“Su, su, mi fa male
la spina dorsale,
mi lasci ché anch'io
son figlia di Dio..."
“Se ha qualche programma
ne parli a la mamma...”
A tale minaccia
Armando tremò,
dischiuse le braccia...
ma quella restò.
Perduto l'onore,
sfumata la stima,
la vispa Teresa
più vispa di prima,
per niente pentita,
per niente confusa,
capì che l'amore
non è che una scusa.
Per circa tre lustri
fu cara a parecchi:
fra giovani e vecchi,
fra oscuri ed illustri,
la vispa Teresa
fu presa e ripresa.
Contenta e giuliva
soffriva e s'offriva.
(La donna che s'offre
se apostrofa l'esse
ha tutto interesse
di dire che soffre).
Ma giunta ai cinquanta,
con l'anima affranta,
col viso un po' tinto,
col resto un po' finto
per torsi d'impaccio
dai prossimi acciacchi,
apriva uno spaccio
di sale e tabacchi.
Un giorno un cliente,
chiedendo un toscano
le porse la mano,
così... casualmente:
Teresa la prese,
la strinse e gli chiese:
“Mi vuole sposare?
Farebbe un affare!”
Ma lui, di rimando,
rispose: “No, No!...
Vivendo fumando
che male ti fo?”
Confusa e pentita
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quello fuggì.
Ed ora Teresa,
pentita davvero,
non ha che un pensiero:
d'andarsene in Chiesa.
Con l'anima stracca
si siede e stabacca,
offrendo al Signore
gli avanzi di un cuore
che batte la fiacca.
Ma spesso fissando
con l'occhio smarrito
la polvere gialla
che resta sul dito,
le sembra il detrito
di quella farfalla
che un giorno ghermiva
stringendola viva.
Così, come allora,
Teresa risente
la voce innocente
che prega ed implora:
“Deh! Lasciami! Anch'io
son figlia di Dio!”
“Fu proprio un bel caso!
- sospira Teresa,
fiutando la presa
che sale nel naso -
Se qui non son lesta
mi scappa anche questa!”
E fiuta e rifiuta,
tossisce e sternuta:
il naso è una tromba
che squilla e rimbomba
e pare che l'eco
si butti allo spreco...
Fra un fiotto e un rimpianto,
tra un soffio e un eccì!
la vispa Teresa...
lasciamola lì!
(Trilussa)