Fine anni ‘70. Solite vacanze estive in Alto Adige.
I figli sono ancora piccoli perciò limitiamo i nostri movimenti a lunghe passeggiate nei boschi dei dintorni. Le escursioni più lontane vengono effettuate solo in funivia o in seggiovia.
Un giorno Elisabeth, la nostra amica altoatesina, ci propone una camminata fino alla Brixner Hütte (Rifugio Bressanone), «escursione poco impegnativa e non troppo faticosa», ci rassicura.
Le previsioni del tempo dicono: bello stabile, perciò decidiamo di affrontare la nostra prima escursione.
La nostra attrezzatura è limitata a scarpe da ginnastica, jeans e K-Way.
Partiamo all’alba, io, due figli, un marito, un cognato, con Elisabeth come guida che, da buona montanara, è invece attrezzata di tutto punto.
In auto raggiungiamo e superiamo il paese di Vals (Valles) e ci inerpichiamo per una stradina dove bisogna augurarsi di non incrociare un altro veicolo e che, in pochi chilometri, con ripidissimi tornanti raggiunge uno spiazzo dove si lasciano gli automezzi.
La giornata è veramente splendida, il cielo di un azzurro smagliante, senza una bava di nuvola. Baldanzosi affrontiamo il sentiero che inizialmente si snoda fra verdissimi pascoli. Poco lontano attraversiamo un pittoresco agglomerato di casette di legno dai tetti a scandole raggruppate attorno ad una minuscola chiesa. Si tratta di Fane Alm (Malghe di Fana), attorno alle quali si aggira un branco di maiali, mucche ed alcuni cavalli. Al ritorno ci fermeremo certamente per gustare un bicchiere di latte fresco e una fetta di strudel.
Dopo aver lasciato alle nostre spalle il “paese di legno”, ci inoltriamo nella gola scavata nella montagna dal Valler Bach (Rio di Valles) per uno stretto sentiero di roccia. Alla nostra destra, alcuni metri più sotto, rumoreggia impetuoso il torrente, a sinistra la roccia, dove un cavo di acciaio ci aiuta a superare i tratti più stretti. Sono un po' preoccupata per l’incolumità dei bambini che invece sembrano divertirsi moltissimo. Infisse nella roccia un paio di targhe commemorative ricordano altrettanti incidenti mortali causati dal fulmine. Per fortuna è una bellissima giornata e quindi i fulmini non ci preoccupano più di tanto.
Guadato il torrente su una traballante passerella il sentiero prosegue con continui saliscendi fra verdi prati costellati da ogni sorta di fiori alpini fra cui spicca il giallo intenso dell’arnica.
Mentre i bambini tengono allegramente il passo io, nonostante parecchi chili e parecchi anni meno di adesso, arranco ansimante dietro la nostra guida che, da brava montanara, avanza con passo misurato ma inesorabile, senza concedere tregua. Solo quando mi vede paonazza e rantolante ci permette una breve sosta «senza sedersi!» intima con teutonica autorevolezza «perché poi non riuscireste a ripartire».
Finalmente se Dio vuole avvistiamo il rifugio, una costruzione di legno in cima ad un poggio, con una assolata terrazza fornita di tavoli e panche. Un ultimo sforzo e siamo finalmente seduti attorno ad un tavolo, dove ordiniamo il pranzo.
Il sole a picco, in un cielo di cobalto, batte in maniera insopportabile e, sprovvisti di copricapo, siamo costretti a ripararci la testa con le magliette che ci siamo tolti per il gran caldo.
Improvvisamente Elisabeth comincia ad agitarsi e ci esorta a finire in fretta la nostra Würstelsuppe perché dobbiamo avviarci per raggiungere le auto prima che ci sorprenda il temporale. La guardiamo esterrefatti: come può temere un temporale in una giornata come questa? Ma poiché sembra sinceramente preoccupata ci affrettiamo e lasciamo il rifugio in breve tempo. Purtroppo la sua esperienza di montanara non l’aveva ingannata perché ben presto grossi nuvoloni gonfi di pioggia ci sovrastano mentre il tuono comincia a rumoreggiare. Affrettiamo il passo nella vana speranza di metterci al riparo prima dello scoppio del temporale che ci coglie quando siamo ancora lontani dalla meta.
L’acqua scende a catinelle e ci inzuppa fino alle ossa e i tuoni rimbombano dentro la cassa toracica mentre lampi continui saettano intorno a noi. Affrontiamo la parte più difficile; sulla roccia dello stretto sentiero, resa viscida dalla pioggia, le nostre scarpe da ginnastica non fanno presa e rischiamo più volte di volare nel torrente sottostante.
Il maschietto sta aggrappato alla mano di suo padre, io cerco di sorreggere alla meglio mia figlia, ma ho grosse difficoltà a mantenermi in piedi. Mentre mio cognato ai primi lampi ha ingranato la quarta e con le sue lunghe gambe è ben presto scomparso dalla nostra vista, Elisabeth, accortasi che sono in difficoltà, afferra saldamente la manina di mia figlia, lasciandomi così la sola incombenza di reggere in piedi me stessa.
Mentre i lampi continuano a serpeggiare intorno a noi con boati come non avevo mai sentito prima, mi tornano in mente le targhe commemorative che avevo notato all’andata e giuro a me stessa che se riusciremo a raggiungere l’auto sani e salvi non metterò mai più a repentaglio la vita dei miei figli per una stupida escursione.
Naturalmente non ho mantenuto la promessa e negli anni a venire di rifugi ne abbiamo raggiunti tanti altri, molto più difficili e faticosi della Brixner Hütte e mia figlia, a mettere in pericolo la sua vita, provvede da sola giacché non più contenta di semplici escursioni o vie ferrate è passata all’arrampicata su roccia e all'alpinismo.
Però da quella prima disastrosa escursione ho tratto qualche insegnamento: innanzitutto che non si affronta la montagna senza una adeguata preparazione e una idonea attrezzatura, poi ho imparato a fidarmi delle intuizioni della gente del luogo per quanto riguarda le previsioni del tempo che, talvolta, possono essere assai più affidabili di quelle dell’allora in auge Colonnello Bernacca.
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GAM Gruppo Amici della Montagna
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